fbpx

I miei maestri

La parola maestro deriva dal latino magister. La radice mag è la medesima di magis e magnus che significano grande; il suffisso ter completa la traduzione del significato della parola magister come “il più grande” o “il maggiore”.

Quindi chi è il maestro? Il maestro è una persona che eccelle in una particolare arte o professione o in una qualsiasi attività umana e che pertanto diventa un punto di riferimento per le persone che lo frequentano per ragioni professionali o di altra natura.

Non si può vivere e crescere senza maestri. 

I primi maestri di vita sono stati i nostri genitori che ci sono stati donati proprio per venire al mondo e per compiere i primi passi. Crescendo tuttavia abbiamo avuto la possibilità di cercarli liberamente, mano a mano che ci addentravamo nella selva oscura della vita.

Chi ci è maestro?

In ultima analisi il maestro è colui che ci trasmette l’amore per quella materia, quell’attività, quella specializzazione in cui lui è magister appunto, e che anche noi desideriamo conoscere, apprendere, approfondire, fare nostra.

Non c’è vera conoscenza senza amore per l’oggetto che desideriamo conoscere e investigare. Il maestro ci affascina e ci trascina nella conoscenza della materia proprio perché innamorato in prima persona di essa.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, riconosco il mio primo maestro in mio nonno Raffaele, un uomo innamorato delle parole. Me lo ricordo sempre con il vocabolario della lingua italiana in mano, intento a sfogliare le sottili pagine e a scrivere su fogli di carta che poi riuniva in cartellette il significato di parole poco note.

Mi diceva: “Lorenzo, se impari il significato di una parola nuova al giorno, in un anno conoscerai 365 parole nuove, in dieci anni saranno 3.650! Pensa che bello!” Lui scriveva poesie e infatti è tipico del poeta manipolare la potenza evocativa e creatrice delle parole per disegnare sensazioni e mondi nuovi con pochi versi.  

Ecco, ripensando oggi a distanza di quarant’anni a quei pomeriggi passati con lui, mentre facevo i compiti, mi rendo conto che il desiderio di scrivere e di giocare con le parole si è formato proprio durante l’infanzia. La conseguenza: a quindici anni anch’io ho iniziato a scrivere le mie prime poesie, ma poi crescendo quel flusso creativo si è interrotto. Ho avuto bisogno di compiere il mio cammino di formazione, di sedimentare le mie esperienze di vita, in una parola di maturare la mia vocazione adulta di scrittore. 

Nel 2010 i tempi evidentemente erano maturi ed ho iniziato a frequentare un corso di scrittura creativa e ad interessarmi alla materia.

In questo tempo ho incontrato il mio secondo maestro che, in un certo senso, ha illuminato il sentiero irto in cui mi stavo incamminando: lo scrittore Giuseppe Pontiggia. Purtroppo, non l’ho mai conosciuto di persona. Lui è morto nel 2003 epoca in cui non mi cimentavo ancora nella scrittura, troppo occupato nel mio ruolo di genitore di due figli a quell’epoca bisognosi di un papà a tempo pieno. Comunque, una volta conosciuto il personaggio Pontiggia, uno dei formatori per aspiranti scrittori più validi che abbia sino ad ora incontrato, non l’ho più abbandonato. Ogni tanto, quando sento il bisogno di una voce amica, quando sono alla ricerca di un’idea, rileggo le sue conversazioni sullo scrivere raccolte nel libro “Dentro la sera” che per me valgono come dieci corsi di scrittura creativa (che tra l’altro lui non amava particolarmente).    

Quando ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, e poi il secondo, e poi il terzo, ho iniziato anche a leggere con occhio più critico i romanzi e i racconti dei grandi scrittori e ho scoperto quasi per caso (ma io non credo al caso) un grande autore: Raymond Carver. Lo voglio citare in questa pagina dedicata ai maestri perché in un certo senso lo considero un po’ il mio terzo maestro di scrittura. Carver è stata una persona dalla vita movimentata, ma con un unico filo conduttore a mio vedere: l’amore per la scrittura. Ho imparato molto leggendo e rileggendo i suoi racconti che puntano all’essenziale, a quello che, narrativamente parlando, deve interessare il lettore senza indugiare in inutili digressioni linguistiche che in ultima analisi annoiano e infastidiscono. Mi piacerebbe, un giorno, arrivare al suo livello di scrittura. 

Per chiudere questo capitolo, dedicato ai maestri, aggiungo un’ultima riflessione sempre sulla figura del maestro. 

Il Talmud dice che nella vita dovremmo fare due cose a nostro favore: la prima è trovarci un maestro e la seconda è scegliere un amico. 

Non possiamo vivere senza maestri. Volenti o nolenti dobbiamo riconoscere che quello che siamo lo dobbiamo in parte a qualcun altro che è venuto prima di noi e che ci ha aiutato, consapevolmente o meno, ad essere quello che siamo. Ma la frase della Bibbia ci dice anche qualcosa di più: ci dice che trovarci un maestro è per il nostro bene.

E questo vale non solo per imparare l’arte di scrivere bene.

Auguro ad ognuno di trovare nella vita il maestro che merita.