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A tu per tu con: Enzo Corbani

Domenica 21 gennaio ho visitato insieme a mia moglie uno dei Borghi più belli d’Italia: Soncino in provincia di Cremona. Soncino è una perla storica e culturale che sembra sospesa nel tempo. Questo borgo medievale, circondato da campagne lussureggianti, è famoso per le sue mura imponenti e il castello roccaforte, testimoni silenziosi di epoche passate. Passeggiando per le sue strade acciottolate, si è avvolti da un’atmosfera unica, dove ogni pietra racconta storie di nobili e cavalieri. Con i suoi musei, le botteghe degli artigiani e i ristoranti che offrono squisite specialità locali, Soncino rappresenta un incontro armonioso tra storia, cultura e gastronomia. Ma oggi vi voglio parlare di una persona speciale che ho conosciuto a Soncino e che si chiama Enzo Corbani, ideatore, fondatore e gestore del Museo della Seta di Soncino che si trova all’interno della Filanda Meroni vicino alla Rocca sforzesca. È un museo particolare perché oltre al tradizionale materiale sul baco da seta e sulla sua lavorazione, raccoglie oggetti, quasi sconosciuti ai più, delle ditte che producevano le uova delle farfalle da cui nascono i bachi da seta, uova che poi venivano spedite in tutta Italia e anche all’estero, i seme-bachi.  

Lorenzo Roberto Quaglia: 31 gennaio ore 21,00 sono collegato con il signor Enzo Corbani per parlare del Museo della Seta e della sua bella attività che è nata nel 1997, quando ha iniziato la raccolta.  La prima domanda signor Corbani che mi viene da fare è questa: qual è stata l’ispirazione per creare il Museo della Seta? L’ ha spinta qualcosa o qualcuno, in buona sostanza come è nata questa avventura?

Enzo Corbani: No, è molto semplice, sono 35 anni che frequento i mercati d’antiquariato. Ho iniziato raccogliendo materiale su Soncino, quando non trovavo niente su Soncino, libri, cartoline, documenti o stampe, mi capitava di comprare il classico libro sul baco da seta. Questi libri più o meno si assomigliano tutti e poco alla volta, guardando le immagini di questi libri mi sono lasciato incuriosire dagli oggetti delle fotografie. E mi sono detto: magari posso trovare questo pezzo o questo oggetto. E così ho incominciato. La prima cosa che ho trovato è stata l’incubatrice dei bachi da seta. Invece il primo oggetto che riguarda la sala dedicata alle ditte bacologiche è stato un cartoncino pubblicitario. Dal primo cartoncino ho capito che c’erano altre ditte che pubblicavano manifesti o cartoncini di pubblicità e visto che a me le pubblicità sono sempre piaciute ho cominciato a cercare prima come baco da seta e poi mi sono spostato sulle ditte bacologiche.

L.R.Q: Quello che volevo capire, che mi interessava, era l’ispirazione per questa raccolta da che cosa l’ha avuta, cioè da bambino era appassionato al baco da seta? 

E.C.: Il baco da seta mi è sempre stato simpatico come animale, la storia non la conoscevo bene all’inizio, dopo ho cominciato a collezionare come facevo con il materiale su Soncino, con un certo criterio: quindi prima sul baco da seta e poi sul bacologico.

L.R.Q.: Quindi è una passione derivata dal fatto che lei comunque è nato in quella zona e conosceva la storia della seta?

E.C.: Un pochettino ma non c’è una ragione particolare, io sono un collezionista: si comincia a collezionare una cosa, poi quando cerco, cerco.  Ho iniziato a collezionare materiale su Soncino e poi mi sono spostato sul baco da seta. Tutti i commercianti o tutte le persone che conoscevo mi avvisavano che c’era materiale sul baco. Quindi per un collezionista è importante avere una rete di conoscenze e di amici che ti avvisano quando in quel tal mercato compare qualcosa che ti potrebbe interessare. Poi è arrivato Internet e la rete è diventata ancora più capillare e importante. Poi è arrivato WhatsApp: se un amico mi invia un’immagine di un oggetto io so subito se mi interessa oppure no. Quando ho incominciato a raccogliere materiale sul baco non è stato semplice mettere su una rete di persone che non conoscono l’argomento e fargli cercare una cosa praticamente sconosciuta e parlo di bacologico o seme-bachi. Su un mercato di 200 espositori, far porre l’attenzione e l’occhio sulla scatolina dove c’è scritto seme-bachi non è semplice. Io ormai sono allenato e quindi mi è più facile, per altri, trovare qualcosa per me non è così facile. Devo ringraziare ogni volta che li vedo queste persone perché devono buttare l’occhio sulla scritta, altrimenti se non c’è la scritta loro non la vedrebbero.

L.R.Q.: Quindi lei ha iniziato come collezionista di cartoline di Soncino e poi si è focalizzato sulla storia del seme-baco e sul bacologico?

E.C.: Prima sono partito con il baco da seta e poi mi sono spostato sul bacologico anche per il discorso delle pubblicità, dei manifesti pubblicitari che mi piacevano particolarmente. Ho cominciato a trovare qualche manifesto e mi sono chiesto, chissà quante erano le ditte che lavoravano in questo settore e ho iniziato a fare ricerche. Per mia fortuna in quel periodo è arrivato Internet che mi ha aiutato molto in questo lavoro. 

L.R.Q.: Il pezzo più lontano da noi geograficamente da dove viene?

E.C.: L’ho trovato in America a Boston ed è un manifesto bacologico di Ascoli che era finito in un negozio di manifesti d’epoca. Un negozio come tanti, come di quelli che ci sono anche qui in Italia. L’ho trovato grazie ad una foto in Internet. Io quando faccio le ricerche in rete, cerco l’immagine su Google, non metto la descrizione nella stringa di ricerca, ma vado nella ricerca per immagini. Quando trovo qualche immagine che mi interessa faccio un ingrandimento e approfondisco la cosa. Nel caso di quel manifesto, ho contattato il negozio di Boston che lo aveva messo in vendita, gli ho scritto una mail, ci siamo messi d’accordo sul prezzo e l’ho acquistato. 

L.R.Q.: Con quale criterio seleziona gli oggetti che cerca? 

E.C.: Tutto, io come sempre guardo le immagini e decido se è inerente a quello che interessa a me o se devo scartarlo. Un grosso limite è anche il prezzo. Il museo è gratuito quindi più di tanto non posso spendere certe cifre, a meno che se passano dei mesi senza che trovo nulla di interessante, allora si accumula qualcosa e si può fare, se capita, anche un acquisto più importante. Come sotto Natale, mi sono capitati due termometri pubblicitari, pagati una cifra importante. Lei capisce che, per un Museo che non fa pagare l’ingresso, sostenere l’acquisto di nuovi oggetti da esporre è impegnativo e tenga conto che ci sono più di 2.500 pezzi nel Museo.

L.R.Q.: Mi sembra di capire che questa raccolta l’ha finanziata tutta lei, con i suoi fondi?

E.C.: Esatto, ci sono solo le offerte dei visitatori. Il comune mi fornisce lo spazio in comodato d’uso gratuito, la luce, il riscaldamento e Internet, ma tutto quello che ha visto all’interno, tavoli vetrine, mobilio è stato portato da me. Io sono solo e faccio anche le spiegazioni ai clienti…

L.R.Q.: Io l’ho visitato e invito tutti coloro che leggeranno l’intervista a farlo perché ancora di più si apprezza il suo lavoro dopo quello che mi sta raccontando…

E.C.: È difficile, quando c’è gente come quando siete venuti voi, bisognerebbe avere a disposizione dieci minuti, un quarto d’ora, per spiegare per benino tutto quello che avete davanti, ma purtroppo essendo solo non riesco a seguire tutto. Quando percepisco che alcune persone sono più interessate di altre a quello che stanno vedendo allora mi avvicino e instauro un dialogo più personale, come ho fatto con voi. 

L.R.Q.: Qual è l’oggetto più antico che è presente nel museo?

E.C.: Ci sono due scatoline per la confezione del seme-bachi, quelle rotonde nella vetrinetta, sono del 1897. La storia è stata questa: una signora ha messo un annuncio su un sito online di vendite. Erano scatole che non mi interessavano. La contatto e le spiego il tipo di materiale che sto cercando.  Dopo qualche tempo, mi scrive offrendomi le due scatoline e le acquisto. 

L.R.Q.: Durante la settimana si muove, va in cerca di materiale per mercati e mercatini? 

E.C.: No, durante la settimana non ci sono i mercati.  Le fiere iniziano il venerdì. Recentemente ho visitato una fiera e ho portato a casa un certificato azionario di un bacologico che inseguivo da dieci anni. 

L.R.Q.: Mi racconti questa storia… 

E.C.: Appena prima di Natale ho aperto il Museo e arriva una signora che mi porta un plico.  In quel momento nel Museo combinazione non c’era nessuno allora lo apro e dentro c’è un catalogo di una ditta che conosco che vende certificati azionari. Sfoglio il catalogo e all’interno c’è un post.it giallo su una foto di Tonello Trevisoche è l’azione che cercavo da tempo. Quel giorno era sabato. Chiamo il numero fisso e non risponde nessuno. Mi viene in mente che c’è la Fiera a Verona. Allora penso: chi ci può essere che conosco tra tutti i miei contatti che potrebbe acquistarlo per me a Verona? Mi è venuto in mente un commerciante che era ancora lì, lo contatto e alla fine riesco a recuperare l’azione tramite lui che gentilmente è andato allo stand del titolare del catalogo che non aveva ancora venduto l’azione. Ecco perché la rete che dicevo prima fa tanto ed è fondamentale. 

L.R.Q.:  Quale è stata la sfida più grande che ha dovuto affrontare per creare il museo?  

E.C.: All’inizio per aprirlo. Perché ho dovuto fare tutto da solo. Sono io che accolgo i clienti, sono io che tengo i contatti con le scuole, perché ci sono tantissime classi che mi vengono a trovare, sono io che devo pulire tutto a 360°, fare la piccola manutenzione e via dicendo… Non è stato facile costruirlo e partire con il Museo… Sono partito con la prima sala, e quando ho aperto la seconda sala ed ho organizzato meglio la raccolta del materiale, sono stato chiuso due mesi perché ho fatto tutto da solo, tranne un amico che mi ha aiutato a spostare la “scalera” che è enorme. 

L.R.Q.: Una domanda che mi viene ascoltandola, perché si capisce che lei è una persona che vive una passione, da dove ha origine la passione per questo museo? È un’opera meritevole nei confronti della cittadinanza, delle persone che vengono a visitarlo, perché è come entrare in un tempo che non esiste più e che lei con tenacia e forza di volontà ha ricreato e che permette, penso soprattutto ai giovani, di conoscere un mondo ormai passato. 

E.C.: Perché mi piace. Per me è una seconda casa. Rimango sempre stupito di quello che ho creato.  Non avevo mai fatto niente di simile. Anni prima mi era capitato di vedere in TV un documentario di una persona che aveva creato un museo. E mi era molto piaciuto e avevo pensato: magari riuscire a fare un museo! E poi l’ho fatto davvero. Ma non avevo in mente di fare un Museo della Seta, mi sono trovato a farlo date le circostanze. Tutti gli oggetti che sono nel Museo prima li avevo in casa, in soffitta, ma ad un certo punto non ci stavano più. A quel punto è intervenuto il comune che stava sistemando la Filanda Meroni e alla fine ho combinato con l’amministrazione. Ho proposto il materiale e sono riuscito a convincerli a darmi prima una sala e poi anche la seconda. 

Nella prima sala si parla solo di seme-bachi e nella seconda di bachicoltura. La prima sala è quella a cui tengo di più, e quella che stupisce sempre i visitatori, perchè parla di un argomento pressoché sconosciuto. Dalle nostre parti non c’erano ditte che si occupavano di seme-bachi, la maggior parte erano in provincia di Ascoli. Ancora oggi ad Ascoli sono rimasti in pochi a conoscere questa attività d’impresa. 

L.R.Q.: Oltre al suo museo ci sono altre realtà simili in Italia che lei conosce?

E.C.: A Colli del Tronto c’è un piccolo museo della bacologia  gestito dalla Pro Loco. Poi ci sono due musei a Vittorio Veneto: il Museo del Baco da Seta e il Museo dell’Industria Bacologica che è un museo privato ideato e realizzato da Ettore Marson. Infine, a Padova c’è il Museo degli insetti che è l’ex Bacologico di Padova. Se non sbaglio credo che loro distribuiscano ancora le uova per chi volesse fare un piccolo allevamento di bachi da seta. 

L.R.Q.: C’è un aneddoto particolare, qualcosa di curioso legato al museo? 

E.C.: Quando non avevo ancora aperto il Museo, durante una festa di piazza, mi si avvicina un signore che curiosa tra gli oggetti della mia bancarella e prende un mio biglietto da visita. Dopo un paio di mesi mi contatta, si presenta, sono Claudio Zanier (maggiori informazioni sul personaggio a questo link) e mi dice che è un appassionato di bachi da seta e vorrebbe vedere la mia collezione. È venuto, ha visitato la mia collezione che avevo in soffitta a casa, e da allora siamo rimasti in contatto. Poi ho scoperto che era un professore all’Università di Pisa, che aveva scritto decine di pubblicazioni sulla storia della seta e che era stato per dieci anni Coordinatore europeo per la seta. Ha scritto libri sul Giappone e sui semai giapponesi. Ha scritto libri su San Giobbe che è il Santo protettore ufficiale dei bachi da seta. Ovunque andava a tenere conferenze, mi scriveva e mi invitava ad andare a sentirlo.  

L.R.Q.: Quante persone visitano all’anno il Museo?

E.C.: Intorno alle novemila persone, tenendo conto che non è aperto tutti i giorni, ma la seconda e terza domenica del mese e durante l’anno su prenotazione per le scuole. Nei giorni scorsi mi ha contattato un’insegnante di una scuola di moda di Bergamo che a marzo vorrebbe portare una terza a visitare il museo e dopo continueranno il giro al Museo del Bijou di Casalmaggiore. Le ho spiegato che nel mio Museo non ci sono tessuti di seta in esposizione, ma la professoressa ha detto che va benissimo, così i ragazzi capisco da dove proviene il materiale che poi si utilizza per produrre un capo. Io specifico sempre cosa si può trovare nel mio Museo. 

Poi a Pescarolo in provincia di Cremona c’è il Museo del Lino. Quindici anni fa ero stato a visitarlo perché anche loro hanno degli attrezzi che si usano per la bachicoltura e poi perché volevo vedere come era organizzato il museo… Quando c’è stato da scegliere il nome da dare al Museo volevo chiamarlo Museo Bacologico, ma poi ho capito che con un nome così non sarebbe venuto nessuno a vederlo, perché la parola bacologico è sconosciuta e allora l’ho chiamato Museo della Seta.

L.R.Q.: A Soncino quante filande esistevano?

E.C.: Nel periodo di massima espansione vi erano 5 filande che lavoravano contemporaneamente e che occupavano circa 500 donne su una popolazione di ottomila anime. Il seme-bachi utilizzato qui proveniva da Vittorio Veneto. 

L.R.Q.: Tra mille anni quando non ci saremo più, che futuro avrà questo museo?

E.C.: Io ho donato tutta la collezione al Comune che poi deciderà cosa farne. Mi auguro che lo tengano vivo e che continui la possibilità di visitarlo e di conoscere la storia della bachicoltura e del seme-bachi. Purtroppo, io ho provato, ho cercato di coinvolgere altre persone, ma si fa fatica. Se manca la passione non si trovano volontari che la domenica vengono qui gratis ad aprire il Museo. Io speravo di trovare qualche giovane appassionato che si prendesse cura di questo Museo e lo portasse avanti nel tempo, ma non c’è nessuno interessato. L’unico che in questi anni mi ha dato una mano importante è stato Arnaldo Ponzoni che ringrazio sinceramente.

Termino il mio dialogo con Enzo Corbani, lasciandogli un augurio: che possa ancora per molti anni arricchire la sua collezione per quel Museo che, anche così com’è, trasuda storia da ogni angolo. Spero che si possa trovare qualcuno che, mosso dalla passione per il patrimonio museale, sia pronto a camminare al fianco di Corbani. Che possa imparare da lui, per poi, un giorno, prendere le redini di questo scrigno di memorie, questo piccolo museo che palpita di potenzialità ancora silenti, in attesa di essere svelate.