fbpx
Categorie
Intervista a...

A tu per tu con: Eulalio Viola, in arte Viò

Viò, Eulalio Viola – 50 anni di pittura” è una celebrazione del percorso artistico di Eulalio Viola, conosciuto affettuosamente come Viò, curata da Giuseppe Frangi. L’evento si tiene al Centro Culturale di Milano dal 6 al 20 aprile 2024 e marca un momento significativo: dopo aver tenuto private le sue opere per anni, Eulalio ha accettato di condividere la sua arte con il pubblico.

Eulalio ci appare come un uomo semplice, con un forte legame familiare e una profonda passione per l’arte. Questa passione si è risvegliata dopo un lungo periodo di pausa dalla pittura, durante il quale ha sviluppato un nuovo stile e una rinnovata vitalità espressiva.

La mostra offre uno sguardo personale dell’artista, raccontando la sua storia e l’evoluzione creativa. Fin da giovane, Eulalio sentiva il desiderio spontaneo di creare, nonostante non avesse alcuna influenza artistica familiare. La sua ispirazione deriva dalle esperienze personali, dalla frequentazione di musei e gallerie, e da figure importanti come il pittore Adriano Fossà, che Eulalio considera suo maestro.

Viò ricorda come l’arte sia stata una presenza costante nella sua vita, anche quando le circostanze lo hanno portato lontano dalla pittura per quasi 30 anni. La ripresa del suo interesse artistico è segnata dal ritorno alla pittura e dalla realizzazione di nuove opere, stimolata dalla curiosità per nuove forme d’arte come l’acquaforte.

Le sue opere ci appaiono come pezzi di vita che raccontano storie, sogni, amori e amicizie, e sono intrise della musica che ascolta durante la loro creazione.

Gli utili idioti del 2020

Nel corso degli anni, Eulalio ha sperimentato diversi stili e temi, mantenendo sempre un approccio positivo e ottimistico, tipico del suo carattere scherzoso. Le sue ispirazioni artistiche includono grandi nomi come Klimt, Schiele, Casorati, Guttuso, e altri, che si riflettono nella sua pittura figurativa arricchita da interpretazioni e decorazioni personali.

La mostra “Viò. Eulalio Viola 50 anni di pittura” è quindi un’opportunità per il pubblico di avvicinarsi all’universo personale e artistico di Eulalio, di apprezzare il cammino di un artista che ha vissuto la sua passione con integrità e gioia, e di essere testimoni del legame profondo e intimo che ha con la sua arte.

Di seguito le domande che abbiamo posto al maestro nel corso dell’intervista che ci ha concesso.

Bandiere del Tibet del 2016

Domanda: Durante i 50 anni della tua carriera artistica, come descriveresti l’evoluzione del tuo stile e le principali influenze che hanno modellato il tuo percorso creativo?

Risposta: Ho iniziato a disegnare a dodici – tredici anni. In famiglia non c’è mai stato nessuno con una tale predisposizione per cui è nata così, da sola. Penso di aver fatto il primo dipinto a olio da autodidatta a 17 anni e, fino a 22 anni non ho mai preso alcuna lezione, né di disegno, né di pittura. Ma ero in grado di fare i ritratti e, posso dire, che me la cavavo piuttosto bene. A 22 anni inizio a frequentare lo studio di Adriano Fossà, quello che per me sarà il mio “Maestro”. Da lui imparo la copia dal vero e la tecnica degli smalti, ma soprattutto una visione artistica della pittura. Dopo circa due anni, uscendo dal lavoro (lavoravo in banca in centro a Milano), mi iscrivo al corso di nudo serale dell’Accademia di Brera. Dopo un paio di mesi, mi iscrivo anche al primo Liceo Artistico serale di Milano, l’Istituto Hayez. Quindi, la mattina esco di casa alle 7,30 e rientro alle 22.30, sposato e con 1 figlio. E la domenica mattina continuo a frequentare lo studio di Fossà. Da ragazzo ero affascinato da Dalì, da Picasso (periodo blu e rosa) e da De Chirico, oltre che dai classici del Rinascimento verso cui nutrivo, e nutro, una profondissima sproporzione. Col passare degli anni, mi sono innamorato della pittura di Schiele, Klimt, Guttuso, Casorati, Giotto e, naturalmente del mio “Maestro” Adriano Fossà. Ho cercato, nel tempo, di ispirarmi a loro sforzandomi di non cadere in uno sterile copia/incolla, cercando di trovare una mia strada. Operazione non facile! Lasciandomi provocare e stupire dalla realtà di tutti i giorni, sono riuscito a creare qualcosa di accettabile al mio giudizio molto severo. Vivo comunque, con fatica, la sproporzione con questi artisti e spesso questo mi blocca. A volte mi ripeto che non sono capace di dipingere e, spesso, mi ritrovo all’inattività di settimane. Poi riprendo coraggio, mi dico che faccio quello che posso e quello che mi sento di fare, e riparto. Nel 1984, mi pare, dopo aver intrapreso una nuova attività lavorativa in proprio, con l’arrivo del secondo figlio e la sopraggiunta passione per la montagna e l’alpinismo, smetto di creare. Zero quadri, zero disegni, per 30 anni. Però continuo a visitare le mostre d’arte e la Biennale di Venezia. Poi, piano piano, si manifesta questo prurito a cui non so resistere e…. riparto. Dal 2010 avrò fatto circa 300 opere, tra dipinti e disegni. Ed eccomi qua alla mia prima vera mostra!

Domanda: Nei tuoi lavori prediligi i temi positivi che trasmettono serenità e gioia. C’è una ragione specifica per questa scelta e come si riflette nella selezione dei soggetti dei tuoi dipinti?

Risposta: Il mio spirito positivo e scherzoso, mi porta a trasmettere le stesse emozioni. Ogni momento sprecato in negatività, depressione e arrabbiature inutili, lo giudico tempo perso, speso male che, oltre tutto, condiziona. Certamente esistono i problemi, non vivo tra le nuvole o in una bolla di sapone. Ma i momenti belli, anche nelle più piccole cose, voglio viverli intensamente, non darli per scontati. Il mio essere si alimenta di questa positività. Questo, mi porta automaticamente a trasmetterlo anche agli altri, a partire dalla mia famiglia.

Il vassoio del 2022

Domanda: Avendo ricominciato a dipingere dopo un periodo di inattività, hai riscontrato difficoltà nel riprendere la pratica artistica o è stato un processo naturale? 

Risposta: Mi sono meravigliato, quando ho ripreso, che non avessi perso nulla. Soprattutto quando ho iniziato a fare cose impegnative. Certamente 30 anni di fermo hanno avuto il loro peso però mi sono scoperto una maturità artistica inaspettata, inconcepibile con la lunga inattività. È come se, mentalmente, mi fossi sempre allenato. Sì, perché, comunque, avevo sempre in testa questa creatività che lavorava senza rendermene conto. È come se avessi incamerato e messo tutto da parte da tirare fuori al momento giusto. Pur rendendomi conto che il tempo passava e non creavo. Parlo di maturità perché, visti i risultati, mi sono reso conto che stavo facendo opere che in passato non avrei immaginato di poter fare. Questa maturità aveva prevalso sull’inattività, relativa, perché mentalmente produceva. A volte mi domando cosa sarebbe venuto fuori senza questa lunga sosta. Mi rispondo che, forse, in termini di risultato, non sarebbe cambiato nulla. Al massimo avrei impiegato meno a realizzare un ritratto ma il risultato sarebbe stato lo stesso. O magari no.

Domanda: Quanto della tua vita personale si riflette nelle tue opere? Potresti condividere come specifici eventi o persone hanno influenzato particolari quadri?

Risposta: Alcuni quadri della mostra sono accompagnati da una spiegazione, per me doverosa da trasmettere. Spesso parlo del rapporto con mia moglie, con la famiglia, con gli amici, con la montagna, con Venezia … con la fede.

Posso farcela del 2020

Domanda: Qual è il tuo rituale o processo che segui quando inizi un nuovo quadro? Hai abitudini particolari o condizioni che prediligi per massimizzare il tuo flusso creativo?

Risposta: Attualmente, pur essendo in pensione, continuo a lavorare 8/9 ore al giorno nel dare una mano ai miei figli nelle loro attività che mi comporta un tempo limitato da dedicare alla pittura che svolgo la sera dopo cena o nei pomeriggi di sabato e domenica. Questo vuol dire che, arrivando a casa stanco, spesso non ho la forza o lo spirito giusto per creare. La stanchezza mentale mi è di ostacolo nella creatività. Però, ad un certo punto, stanco o non stanco, scatta la molla, il prurito, e parto arrivando, certe volte che sono particolarmente carico, ad iniziare 2 o 3 quadri diversi contemporaneamente. I quadri li completo in 2 o 3 step o, in quelli impegnativi, anche in decine di passaggi. Sicuramente dalla musica ricevo una carica supplementare.

Domanda: C’è un’opera che consideri particolarmente vicina al tuo cuore o che rappresenta un capitolo importante della tua vita? Potresti raccontarci la storia dietro a quella creazione?

Risposta: Sono varie le opere vicine al mio cuore ma penso che “il volo” incarni a pieno il mio essere uomo, marito, padre e artista. L’idea è nata ispirandomi al quadro di Chagall “la passeggiata” dove l’artista tiene per mano sua moglie Bell che sta volando. Nel mio quadro le parti si invertono. Sono io che volo, preso dai miei sogni e dalla mia creatività e mia moglie, più pratica e razionale, che mi lascia volare, ma fino ad una certa altezza. Mi riporta comunque alla realtà, pur lasciandomi sognare. Sono presenti anche i figli in una fotografia sotto la firma, la nostra micia che incarna la doppia personalità (libertà e affezione) ed i fiori che rappresentano la bellezza ma, anche, la caducità della vita. Il quadro di Chagall lo avevo visto dal vero con mia moglie circa 20 anni fa in una mostra a Ferrara e mi aveva colpito ed affascinato subito. Ma era rimasto lì, nella mia mente, apparentemente fermo. Poi, un giorno, è scattata la molla, è arrivato il prurito e mi è venuta l’idea di creare qualcosa che, partendo da quel quadro, parlasse di me, con le mie capacità e la mia visione artistica. Ispirandomi sì, ma con la mia testa.

Il volo

Domanda: Come ritieni che le esperienze della tua vita abbiano influenzato il tuo sviluppo come artista? Ci sono stati eventi o momenti che consideri di svolta nella tua espressione artistica?

Risposta: Sicuramente l’esperienza di marito, padre, l’esperienza degli amici, hanno influenzato la mia crescita artistica. Soprattutto negli ultimi anni. C’è stato un momento particolarmente difficile della mia vita che mi ha fatto scoprire come i valori in cui credo siano stati una svolta importante sia umanamente che artisticamente. E questo è venuto fuori spontaneamente in diversi quadri. 

Prima di concludere, voglio esprimere la mia profonda gratitudine nei confronti degli amici Claudio Mattiolo e Roberto Guala, pilastri fondamentali senza i quali non mi sarei mai avventurato in questa straordinaria impresa. Un ringraziamento speciale va anche a Giuseppe Frangi, il cui ruolo di curatore della mostra è stato cruciale nel conferire forma e significato alle opere esposte.

Categorie
Intervista a...

A tu per tu con: Enzo Corbani

Domenica 21 gennaio ho visitato insieme a mia moglie uno dei Borghi più belli d’Italia: Soncino in provincia di Cremona. Soncino è una perla storica e culturale che sembra sospesa nel tempo. Questo borgo medievale, circondato da campagne lussureggianti, è famoso per le sue mura imponenti e il castello roccaforte, testimoni silenziosi di epoche passate. Passeggiando per le sue strade acciottolate, si è avvolti da un’atmosfera unica, dove ogni pietra racconta storie di nobili e cavalieri. Con i suoi musei, le botteghe degli artigiani e i ristoranti che offrono squisite specialità locali, Soncino rappresenta un incontro armonioso tra storia, cultura e gastronomia. Ma oggi vi voglio parlare di una persona speciale che ho conosciuto a Soncino e che si chiama Enzo Corbani, ideatore, fondatore e gestore del Museo della Seta di Soncino che si trova all’interno della Filanda Meroni vicino alla Rocca sforzesca. È un museo particolare perché oltre al tradizionale materiale sul baco da seta e sulla sua lavorazione, raccoglie oggetti, quasi sconosciuti ai più, delle ditte che producevano le uova delle farfalle da cui nascono i bachi da seta, uova che poi venivano spedite in tutta Italia e anche all’estero, i seme-bachi.  

Lorenzo Roberto Quaglia: 31 gennaio ore 21,00 sono collegato con il signor Enzo Corbani per parlare del Museo della Seta e della sua bella attività che è nata nel 1997, quando ha iniziato la raccolta.  La prima domanda signor Corbani che mi viene da fare è questa: qual è stata l’ispirazione per creare il Museo della Seta? L’ ha spinta qualcosa o qualcuno, in buona sostanza come è nata questa avventura?

Enzo Corbani: No, è molto semplice, sono 35 anni che frequento i mercati d’antiquariato. Ho iniziato raccogliendo materiale su Soncino, quando non trovavo niente su Soncino, libri, cartoline, documenti o stampe, mi capitava di comprare il classico libro sul baco da seta. Questi libri più o meno si assomigliano tutti e poco alla volta, guardando le immagini di questi libri mi sono lasciato incuriosire dagli oggetti delle fotografie. E mi sono detto: magari posso trovare questo pezzo o questo oggetto. E così ho incominciato. La prima cosa che ho trovato è stata l’incubatrice dei bachi da seta. Invece il primo oggetto che riguarda la sala dedicata alle ditte bacologiche è stato un cartoncino pubblicitario. Dal primo cartoncino ho capito che c’erano altre ditte che pubblicavano manifesti o cartoncini di pubblicità e visto che a me le pubblicità sono sempre piaciute ho cominciato a cercare prima come baco da seta e poi mi sono spostato sulle ditte bacologiche.

L.R.Q: Quello che volevo capire, che mi interessava, era l’ispirazione per questa raccolta da che cosa l’ha avuta, cioè da bambino era appassionato al baco da seta? 

E.C.: Il baco da seta mi è sempre stato simpatico come animale, la storia non la conoscevo bene all’inizio, dopo ho cominciato a collezionare come facevo con il materiale su Soncino, con un certo criterio: quindi prima sul baco da seta e poi sul bacologico.

L.R.Q.: Quindi è una passione derivata dal fatto che lei comunque è nato in quella zona e conosceva la storia della seta?

E.C.: Un pochettino ma non c’è una ragione particolare, io sono un collezionista: si comincia a collezionare una cosa, poi quando cerco, cerco.  Ho iniziato a collezionare materiale su Soncino e poi mi sono spostato sul baco da seta. Tutti i commercianti o tutte le persone che conoscevo mi avvisavano che c’era materiale sul baco. Quindi per un collezionista è importante avere una rete di conoscenze e di amici che ti avvisano quando in quel tal mercato compare qualcosa che ti potrebbe interessare. Poi è arrivato Internet e la rete è diventata ancora più capillare e importante. Poi è arrivato WhatsApp: se un amico mi invia un’immagine di un oggetto io so subito se mi interessa oppure no. Quando ho incominciato a raccogliere materiale sul baco non è stato semplice mettere su una rete di persone che non conoscono l’argomento e fargli cercare una cosa praticamente sconosciuta e parlo di bacologico o seme-bachi. Su un mercato di 200 espositori, far porre l’attenzione e l’occhio sulla scatolina dove c’è scritto seme-bachi non è semplice. Io ormai sono allenato e quindi mi è più facile, per altri, trovare qualcosa per me non è così facile. Devo ringraziare ogni volta che li vedo queste persone perché devono buttare l’occhio sulla scritta, altrimenti se non c’è la scritta loro non la vedrebbero.

L.R.Q.: Quindi lei ha iniziato come collezionista di cartoline di Soncino e poi si è focalizzato sulla storia del seme-baco e sul bacologico?

E.C.: Prima sono partito con il baco da seta e poi mi sono spostato sul bacologico anche per il discorso delle pubblicità, dei manifesti pubblicitari che mi piacevano particolarmente. Ho cominciato a trovare qualche manifesto e mi sono chiesto, chissà quante erano le ditte che lavoravano in questo settore e ho iniziato a fare ricerche. Per mia fortuna in quel periodo è arrivato Internet che mi ha aiutato molto in questo lavoro. 

L.R.Q.: Il pezzo più lontano da noi geograficamente da dove viene?

E.C.: L’ho trovato in America a Boston ed è un manifesto bacologico di Ascoli che era finito in un negozio di manifesti d’epoca. Un negozio come tanti, come di quelli che ci sono anche qui in Italia. L’ho trovato grazie ad una foto in Internet. Io quando faccio le ricerche in rete, cerco l’immagine su Google, non metto la descrizione nella stringa di ricerca, ma vado nella ricerca per immagini. Quando trovo qualche immagine che mi interessa faccio un ingrandimento e approfondisco la cosa. Nel caso di quel manifesto, ho contattato il negozio di Boston che lo aveva messo in vendita, gli ho scritto una mail, ci siamo messi d’accordo sul prezzo e l’ho acquistato. 

L.R.Q.: Con quale criterio seleziona gli oggetti che cerca? 

E.C.: Tutto, io come sempre guardo le immagini e decido se è inerente a quello che interessa a me o se devo scartarlo. Un grosso limite è anche il prezzo. Il museo è gratuito quindi più di tanto non posso spendere certe cifre, a meno che se passano dei mesi senza che trovo nulla di interessante, allora si accumula qualcosa e si può fare, se capita, anche un acquisto più importante. Come sotto Natale, mi sono capitati due termometri pubblicitari, pagati una cifra importante. Lei capisce che, per un Museo che non fa pagare l’ingresso, sostenere l’acquisto di nuovi oggetti da esporre è impegnativo e tenga conto che ci sono più di 2.500 pezzi nel Museo.

L.R.Q.: Mi sembra di capire che questa raccolta l’ha finanziata tutta lei, con i suoi fondi?

E.C.: Esatto, ci sono solo le offerte dei visitatori. Il comune mi fornisce lo spazio in comodato d’uso gratuito, la luce, il riscaldamento e Internet, ma tutto quello che ha visto all’interno, tavoli vetrine, mobilio è stato portato da me. Io sono solo e faccio anche le spiegazioni ai clienti…

L.R.Q.: Io l’ho visitato e invito tutti coloro che leggeranno l’intervista a farlo perché ancora di più si apprezza il suo lavoro dopo quello che mi sta raccontando…

E.C.: È difficile, quando c’è gente come quando siete venuti voi, bisognerebbe avere a disposizione dieci minuti, un quarto d’ora, per spiegare per benino tutto quello che avete davanti, ma purtroppo essendo solo non riesco a seguire tutto. Quando percepisco che alcune persone sono più interessate di altre a quello che stanno vedendo allora mi avvicino e instauro un dialogo più personale, come ho fatto con voi. 

L.R.Q.: Qual è l’oggetto più antico che è presente nel museo?

E.C.: Ci sono due scatoline per la confezione del seme-bachi, quelle rotonde nella vetrinetta, sono del 1897. La storia è stata questa: una signora ha messo un annuncio su un sito online di vendite. Erano scatole che non mi interessavano. La contatto e le spiego il tipo di materiale che sto cercando.  Dopo qualche tempo, mi scrive offrendomi le due scatoline e le acquisto. 

L.R.Q.: Durante la settimana si muove, va in cerca di materiale per mercati e mercatini? 

E.C.: No, durante la settimana non ci sono i mercati.  Le fiere iniziano il venerdì. Recentemente ho visitato una fiera e ho portato a casa un certificato azionario di un bacologico che inseguivo da dieci anni. 

L.R.Q.: Mi racconti questa storia… 

E.C.: Appena prima di Natale ho aperto il Museo e arriva una signora che mi porta un plico.  In quel momento nel Museo combinazione non c’era nessuno allora lo apro e dentro c’è un catalogo di una ditta che conosco che vende certificati azionari. Sfoglio il catalogo e all’interno c’è un post.it giallo su una foto di Tonello Trevisoche è l’azione che cercavo da tempo. Quel giorno era sabato. Chiamo il numero fisso e non risponde nessuno. Mi viene in mente che c’è la Fiera a Verona. Allora penso: chi ci può essere che conosco tra tutti i miei contatti che potrebbe acquistarlo per me a Verona? Mi è venuto in mente un commerciante che era ancora lì, lo contatto e alla fine riesco a recuperare l’azione tramite lui che gentilmente è andato allo stand del titolare del catalogo che non aveva ancora venduto l’azione. Ecco perché la rete che dicevo prima fa tanto ed è fondamentale. 

L.R.Q.:  Quale è stata la sfida più grande che ha dovuto affrontare per creare il museo?  

E.C.: All’inizio per aprirlo. Perché ho dovuto fare tutto da solo. Sono io che accolgo i clienti, sono io che tengo i contatti con le scuole, perché ci sono tantissime classi che mi vengono a trovare, sono io che devo pulire tutto a 360°, fare la piccola manutenzione e via dicendo… Non è stato facile costruirlo e partire con il Museo… Sono partito con la prima sala, e quando ho aperto la seconda sala ed ho organizzato meglio la raccolta del materiale, sono stato chiuso due mesi perché ho fatto tutto da solo, tranne un amico che mi ha aiutato a spostare la “scalera” che è enorme. 

L.R.Q.: Una domanda che mi viene ascoltandola, perché si capisce che lei è una persona che vive una passione, da dove ha origine la passione per questo museo? È un’opera meritevole nei confronti della cittadinanza, delle persone che vengono a visitarlo, perché è come entrare in un tempo che non esiste più e che lei con tenacia e forza di volontà ha ricreato e che permette, penso soprattutto ai giovani, di conoscere un mondo ormai passato. 

E.C.: Perché mi piace. Per me è una seconda casa. Rimango sempre stupito di quello che ho creato.  Non avevo mai fatto niente di simile. Anni prima mi era capitato di vedere in TV un documentario di una persona che aveva creato un museo. E mi era molto piaciuto e avevo pensato: magari riuscire a fare un museo! E poi l’ho fatto davvero. Ma non avevo in mente di fare un Museo della Seta, mi sono trovato a farlo date le circostanze. Tutti gli oggetti che sono nel Museo prima li avevo in casa, in soffitta, ma ad un certo punto non ci stavano più. A quel punto è intervenuto il comune che stava sistemando la Filanda Meroni e alla fine ho combinato con l’amministrazione. Ho proposto il materiale e sono riuscito a convincerli a darmi prima una sala e poi anche la seconda. 

Nella prima sala si parla solo di seme-bachi e nella seconda di bachicoltura. La prima sala è quella a cui tengo di più, e quella che stupisce sempre i visitatori, perchè parla di un argomento pressoché sconosciuto. Dalle nostre parti non c’erano ditte che si occupavano di seme-bachi, la maggior parte erano in provincia di Ascoli. Ancora oggi ad Ascoli sono rimasti in pochi a conoscere questa attività d’impresa. 

L.R.Q.: Oltre al suo museo ci sono altre realtà simili in Italia che lei conosce?

E.C.: A Colli del Tronto c’è un piccolo museo della bacologia  gestito dalla Pro Loco. Poi ci sono due musei a Vittorio Veneto: il Museo del Baco da Seta e il Museo dell’Industria Bacologica che è un museo privato ideato e realizzato da Ettore Marson. Infine, a Padova c’è il Museo degli insetti che è l’ex Bacologico di Padova. Se non sbaglio credo che loro distribuiscano ancora le uova per chi volesse fare un piccolo allevamento di bachi da seta. 

L.R.Q.: C’è un aneddoto particolare, qualcosa di curioso legato al museo? 

E.C.: Quando non avevo ancora aperto il Museo, durante una festa di piazza, mi si avvicina un signore che curiosa tra gli oggetti della mia bancarella e prende un mio biglietto da visita. Dopo un paio di mesi mi contatta, si presenta, sono Claudio Zanier (maggiori informazioni sul personaggio a questo link) e mi dice che è un appassionato di bachi da seta e vorrebbe vedere la mia collezione. È venuto, ha visitato la mia collezione che avevo in soffitta a casa, e da allora siamo rimasti in contatto. Poi ho scoperto che era un professore all’Università di Pisa, che aveva scritto decine di pubblicazioni sulla storia della seta e che era stato per dieci anni Coordinatore europeo per la seta. Ha scritto libri sul Giappone e sui semai giapponesi. Ha scritto libri su San Giobbe che è il Santo protettore ufficiale dei bachi da seta. Ovunque andava a tenere conferenze, mi scriveva e mi invitava ad andare a sentirlo.  

L.R.Q.: Quante persone visitano all’anno il Museo?

E.C.: Intorno alle novemila persone, tenendo conto che non è aperto tutti i giorni, ma la seconda e terza domenica del mese e durante l’anno su prenotazione per le scuole. Nei giorni scorsi mi ha contattato un’insegnante di una scuola di moda di Bergamo che a marzo vorrebbe portare una terza a visitare il museo e dopo continueranno il giro al Museo del Bijou di Casalmaggiore. Le ho spiegato che nel mio Museo non ci sono tessuti di seta in esposizione, ma la professoressa ha detto che va benissimo, così i ragazzi capisco da dove proviene il materiale che poi si utilizza per produrre un capo. Io specifico sempre cosa si può trovare nel mio Museo. 

Poi a Pescarolo in provincia di Cremona c’è il Museo del Lino. Quindici anni fa ero stato a visitarlo perché anche loro hanno degli attrezzi che si usano per la bachicoltura e poi perché volevo vedere come era organizzato il museo… Quando c’è stato da scegliere il nome da dare al Museo volevo chiamarlo Museo Bacologico, ma poi ho capito che con un nome così non sarebbe venuto nessuno a vederlo, perché la parola bacologico è sconosciuta e allora l’ho chiamato Museo della Seta.

L.R.Q.: A Soncino quante filande esistevano?

E.C.: Nel periodo di massima espansione vi erano 5 filande che lavoravano contemporaneamente e che occupavano circa 500 donne su una popolazione di ottomila anime. Il seme-bachi utilizzato qui proveniva da Vittorio Veneto. 

L.R.Q.: Tra mille anni quando non ci saremo più, che futuro avrà questo museo?

E.C.: Io ho donato tutta la collezione al Comune che poi deciderà cosa farne. Mi auguro che lo tengano vivo e che continui la possibilità di visitarlo e di conoscere la storia della bachicoltura e del seme-bachi. Purtroppo, io ho provato, ho cercato di coinvolgere altre persone, ma si fa fatica. Se manca la passione non si trovano volontari che la domenica vengono qui gratis ad aprire il Museo. Io speravo di trovare qualche giovane appassionato che si prendesse cura di questo Museo e lo portasse avanti nel tempo, ma non c’è nessuno interessato. L’unico che in questi anni mi ha dato una mano importante è stato Arnaldo Ponzoni che ringrazio sinceramente.

Termino il mio dialogo con Enzo Corbani, lasciandogli un augurio: che possa ancora per molti anni arricchire la sua collezione per quel Museo che, anche così com’è, trasuda storia da ogni angolo. Spero che si possa trovare qualcuno che, mosso dalla passione per il patrimonio museale, sia pronto a camminare al fianco di Corbani. Che possa imparare da lui, per poi, un giorno, prendere le redini di questo scrigno di memorie, questo piccolo museo che palpita di potenzialità ancora silenti, in attesa di essere svelate.

Categorie
Intervista a...

A tu per tu con: Claudia Spagnoli

Oggi incontriamo Claudia Spagnoli, diplomata in violoncello a Verona nel 1999, due anni di perfezionamento all’Accademia orchestrale del Teatro alla Scala di Milano, musicista e attualmente docente di scuola primaria. Nata a Chioggia, da qualche anno, dopo aver girato diverse parti d’Italia, vive in provincia di Parma con la famiglia.

Claudia, come hai scoperto la tua passione per il violoncello?

In realtà non è stato amore a prima vista, ma una passione nata e cresciuta con il tempo e lo studio. Devo ringraziare i miei genitori che, pur non essendo musicisti, hanno deciso di avviarmi allo studio di uno strumento musicale. E sono stata fortunata perché il destino ha voluto che mi avvicinassi ad uno degli strumenti più belli, il violoncello.

Quali sono le principali sfide nell’insegnare ai bambini della scuola primaria e come le superi? Come hai deciso di integrare la passione per il violoncello nella tua professione di insegnante?

La sfida principale per un insegnante ai giorni nostri è, a mio avviso, riuscire a trasmettere la passione per il bello. In un mondo in cui ormai tutto è velocizzato si tende ad avere la necessità di sentirsi appagati e accontentati subito, perdendo a volte il senso delle cose. Dovremmo riuscire invece a fermarci ed emozionarci, davanti ad un bel quadro, un brano musicale, un libro o perché no, anche ad un’operazione matematica o un esperimento scientifico. 

In questo lo studio della musica credo mi abbia aiutato molto, sia come predisposizione personale all’ascolto e quindi alla comprensione dei piccoli bambini che ho davanti ogni giorno, sia per la sensibilità e l’attenzione verso il mondo, che spero di riuscire a trasmettere anche a loro. 

Come pensi che lo studio del violoncello influenzi lo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini? Quali consigli daresti ai genitori per supportare l’interesse e l’apprendimento musicale dei loro figli a casa?

Ritengo che lo studio della musica, a tutti i livelli, aiuti enormemente lo sviluppo globale di un bambino. I benefici dello studio della musica sono molteplici: coordinazione, senso del ritmo, concentrazione, disciplina, pazienza. A livello emotivo invece può aiutare a far esprimere e direi a volte anche a comprendere le proprie emozioni attraverso l’ascolto o la produzione di un brano musicale. Il consiglio che mi sento di dare è quello di far avvicinare i propri figli alla musica coinvolgendoli prima di tutto nell’ascolto e nella partecipazione a concerti o progetti dedicati ai più piccoli. Ormai in ogni città esistono eventi dedicati ai bambini, proprio per dar modo a loro di conoscere questo mondo meraviglioso. E se anche questo non fosse possibile, l’aiuto degli strumenti digitali ormai ci permette di conoscere e visionare anche in modo virtuale rappresentazioni e concerti.

Hai un metodo particolare per avvicinare i bambini alla musica classica, spesso considerata meno accessibile? Come integri la musica nell’insegnamento delle altre discipline?

I bambini sono spettacolari perché sono ancora capaci di stupirsi, anche in modo per noi inaspettato. Vi racconto un episodio: per Natale stiamo preparando un piccolo spettacolo ispirato alla fiaba dello Schiaccianoci. Ho pensato ad uno spettacolo che potesse integrare varie discipline tra cui, naturalmente, la musica. Quindi presenteremo dei brani natalizi ma anche alcuni brani tratti dal famoso balletto ‘Lo Schiaccianoci’ di Tchaikovskj, utilizzando lo strumentario Orff, il canto e la body-percussion (utilizzo del proprio corpo per accompagnare ritmicamente la musica).

Per far sentire loro la musica del balletto, ho proiettato sulla nostra lavagna digitale un video tratto da uno spettacolo in teatro, con ballerini e ballerine. I bambini sono rimasti così incantati da queste immagini che mi hanno chiesto di poter vedere il video più a lungo rispetto al pezzetto che avevo previsto. Sono rimasta piacevolmente stupita da questo entusiasmo e mi sono resa conto ancora una volta che la base di qualsiasi esperienza parte dall’educazione. Non si può amare o apprezzare qualcosa che non si conosce. Per questo cerco di inserire la musica in qualsiasi disciplina io insegni, un esempio tra tanti: se in storia affrontiamo la scansione delle stagioni nel corso dell’anno, quale occasione migliore per presentarle, se non le ‘Quattro stagioni’ di Vivaldi? E poi magari chiedo loro di disegnare ciò che hanno ‘visto’ chiudendo gli occhi e concentrandosi solo sulla musica.

Qual è stato il momento più gratificante nell’insegnare musica ai bambini?

I momenti gratificanti sono tanti. Senza dubbio quelli simili a quello che raccontavo poco fa, quando riesco a farli appassionare e a coinvolgerli durante le attività in classe. Poi naturalmente i momenti di restituzione del lavoro svolto, durante semplici spettacoli e concerti. Qualche anno fa, prima del Covid, avevo iniziato un bellissimo progetto per suonare il flauto già a partire dalla classe seconda, i due brani che abbiamo realizzato alla fine dell’anno sono stati un successone, apprezzati sia dai bimbi che dal pubblico. Devo dire che è stata una grande soddisfazione per me. Purtroppo, non mi è stato possibile continuare gli anni successivi perché, a causa delle restrizioni, non è stato più possibile utilizzare strumenti a fiato. Ho sempre proposto però in alternativa, in collaborazione con le mie colleghe, spettacoli che avessero un forte impatto musicale. Alla fine dell’anno scolastico scorso, ad esempio, abbiamo messo in scena ‘Il Carnevale degli animali’ di Saint-Saens.

Parlaci di qualche iniziativa che hai realizzato e di cui sei particolarmente fiera e di quali progetti musicali hai in programma in futuro con i tuoi allievi.

A novembre ho avuto la possibilità di accompagnare la lettura animata di una storia con il mio violoncello e con mio figlio Gabriele al clarinetto. Ad ascoltarci un gruppo abbastanza nutrito di bambini che alla fine della lettura e degli applausi sono rimasti immobili e silenziosissimi in attesa perché volevano il bis! È stato molto bello e gratificante. 

Inoltre, l’anno scorso ho insegnato musica ad un gruppo di ragazzini delle classi quarte e quinte della mia scuola, un progetto extrascolastico finanziato dalla regione. È stato un percorso faticoso ma che ci ha regalato grandi soddisfazioni. Abbiamo lavorato tanto sul canto, l’intonazione, la capacità di ascolto e di condivisione con canti a canone e ritmici. Abbiamo suonato insieme e pensato e costruito insieme uno spettacolo che abbiamo realizzato alla fine del corso. È stato un lavoro che spaziava dalla musica classica al pop moderno, cantando o accompagnando i brani scelti con gli strumentini, il corpo tramite la body-percussion o i bicchieri (la cosiddetta Cup Song). La cosa di cui vado più fiera? Essere riuscita alla fine a sentire cantare intonati dei ragazzini che all’inizio cantavano senza riuscire a modulare la voce utilizzando le varie note…per me un bellissimo traguardo!

Molto presto partirà anche il secondo corso, con ragazzi nuovi e qualche ragazzo ‘vecchio’, che entusiasta del corso già frequentato vuole ritornare. 

Durante l’anno scolastico poi terrò, insieme ad alcune colleghe musiciste, delle lezioni concerto per i bambini di diverse classi. Ritengo sia una bella occasione per loro, soprattutto per quelli che normalmente non ne hanno la possibilità, poter sentire e vedere da vicino e dal vivo alcuni strumenti musicali. 

Fortunatamente l’Istituto scolastico in cui lavoro è molto attento alle iniziative artistiche, pochi giorni fa ad esempio ho avuto la fortuna di dirigere, per alcuni canti natalizi, il coro di tutta la scuola primaria formato da più di 600 bambini in occasione dell’Accensione dell’albero di Natale del nostro paese. Una bellissima tradizione che si ripete ormai da 26 anni.

Per ulteriori progetti chissà… l’arte è creatività, e spesso nascono idee e iniziative in maniera estemporanea che cerchiamo sempre di realizzare. Io sono sempre aperta a nuove esperienze, anche grazie alla collaborazione di amici musicisti e colleghi.


Claudia, è stato un vero piacere scoprire il tuo mondo, la tua passione per la musica e il modo in cui la trasmetti ai bambini. La tua esperienza e il tuo entusiasmo sono fonte di ispirazione per molti. Grazie per aver condiviso con noi i tuoi progetti, le tue esperienze e la tua visione dell’educazione musicale. Siamo certi che continuerai a ispirare e a educare le giovani menti con la tua musica e il tuo insegnamento. Ti auguriamo il meglio per i tuoi progetti futuri e speriamo di sentire presto delle tue nuove iniziative. Grazie ancora, Claudia, e un caloroso in bocca al lupo per tutto ciò che farai in futuro!

Categorie
Lo scrittore artigiano News

Paolo Fabbro, il pittore della luce

La giornata del 18 novembre 2023 ha segnato il culmine del percorso editoriale del libro “Paolo Fabbro, il pittore della luce”, un progetto nato un anno fa e giunto alla sua celebrazione con la presentazione presso la Biblioteca di Bollate. L’emozione che ho provato nel vedere la sala gremita di un pubblico attento e partecipe ha rinnovato in me la convinzione che l’arte e la cultura mantengano un posto vitale nell’interesse collettivo, e che sia nostro dovere perpetuare il dialogo su tali tematiche.

La presentazione si è distinta per un momento di eccezionale condivisione culturale, grazie anche alla presenza di Rachele Brognoli, docente di Storia dell’Arte nei Licei, la cui analisi ha brillantemente contestualizzato l’arte di Fabbro nel tessuto storico e artistico, elevando la sua statura nel panorama dell’arte contemporanea.

Nella redazione di questo volume, mi sono proposto di ritrarre non soltanto l’arte, ma anche l’esistenza di Paolo Fabbro. La sua vita si dipana come un’esemplare narrazione di tenacia, resilienza e impegno verso la propria arte, elementi che spero possano vibrare in modo particolare tra le corde dei giovani. Ho adottato nella scrittura quello che io chiamo il metodo “artigianale”, improntato al lavoro meticoloso e appassionato, per dare vita a un’opera che mi appagasse come scrittore e che al tempo stesso onorasse la complessità del suo soggetto.

Vorrei esprimere sincera riconoscenza verso Youcanprint, editore leader nel self-publishing in Italia, che ha sostenuto con fiducia il mio intento di portare al pubblico la storia di Fabbro, dimostrandosi un alleato insostituibile per noi autori.

Il mio desiderio più ardente è che “Paolo Fabbro, il pittore della luce” tocchi il cuore di un’ampia platea, specialmente quella giovane. L’esistenza di Fabbro si erge a testimonianza che ardore e perseveranza sono le chiavi per superare ogni sfida, un inno all’ispirazione per coloro che si trovano ad affrontare scelte di vita rilevanti, e che forse, grazie a questo libro, potranno orientarsi verso decisioni più sagge.

Il cammino per dar vita a “Paolo Fabbro, il pittore della luce” si è rivelato un’appagante avventura di scrittura e di esplorazione artistica. Quest’opera rappresenta il mio tributo ad un pittore eccezionale e vuole lanciare un appello al coraggio e alla determinazione nel perseguire i propri sogni.

Qui di seguito il testo che ho scritto e letto come introduzione all’evento di ieri mattina:

“Signore e signori, buongiorno.

In questa giornata, sotto la luce soffusa di questa sala, un luogo che oggi diventa testimone di storie e di sogni, desidero condividere con voi tre riflessioni, tre tappe di un viaggio che, come ogni viaggio, ha avuto i suoi incroci, le sue pause, le sue accelerazioni.

La prima riflessione riguarda una domanda che molti di voi mi hanno posto, una domanda che si annida nei corridoi della curiosità: come ho fatto a convincere il maestro Paolo Fabbro a intraprendere questo progetto, a lasciarsi raccontare in un libro? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Gli ho proposto un accordo, un patto che aveva la bellezza della libertà: avrebbe potuto, in qualsiasi momento, decidere di non proseguire. Se avesse scelto di fermarsi, questo libro non avrebbe mai visto la luce, sarebbe rimasto un sogno, un’idea sospesa nel tempo. Ma il maestro ha scelto di camminare con me in questo percorso, un percorso fatto di parole, di ricordi, di colori.

La seconda riflessione vi porta dentro le pagine di questo libro. Non è solo la vita di Paolo Fabbro che scorre tra queste righe, ma è un viaggio nella storia di Bollate, nella storia dell’Italia. Dagli anni ’50 ad oggi, ogni pagina è un passo in un viaggio attraverso il tempo, un viaggio che ci mostra come la vita personale di un uomo si intrecci con la storia di una comunità, di una città. È un racconto che va oltre la biografia, è un affresco di un’epoca, di cambiamenti, di evoluzioni, di rivoluzioni silenziose che hanno modellato il nostro presente.

E ora, la terza riflessione, forse la più personale, la più intima. Tre anni fa, in una giornata simile a questa, ero in un letto d’ospedale, e stavo lottando contro il covid. Steso su una barella, con il casco dell’ossigeno come unico compagno, guardavo il soffitto bianco, ascoltavo i suoni ovattati del reparto, pensavo alla vita, alla sua fragilità, alla sua forza. Quell’esperienza mi ha cambiato, mi ha insegnato il valore del tempo, la preziosità di ogni istante. E oggi, qui con voi, sento la gioia profonda di essere ancora qui, di poter condividere storie, emozioni, ricordi. Questo libro, che tengo tra le mani, è più di un insieme di pagine: è un simbolo di resilienza, di rinascita, di vita che va avanti nonostante tutto.

Questo libro parla di Paolo Fabbro, sì, ma parla anche di ognuno di noi, delle nostre lotte, delle nostre vittorie, delle nostre sconfitte. È bello perché racconta di una persona speciale, un uomo che ha saputo guardare il mondo con occhi diversi, che ha saputo trasformare la tela bianca della vita in un’opera d’arte. E se oggi posso dire che sono fiero di questo lavoro, non è per la mia scrittura, ma per la storia che essa racconta, per la vita che essa cattura.

In conclusione, vorrei ringraziare ognuno di voi per essere qui oggi. La vostra presenza rende questo momento ancora più speciale, ancora più significativo. Grazie per aver scelto di condividere con me, con noi, questo pezzo di viaggio. Buona lettura e buon viaggio nelle pagine di questa storia, nella storia di Paolo Fabbro, nella storia di tutti noi.

Grazie.”

Categorie
Lo scrittore artigiano News

Incontro con i ragazzi del Fedi Fermi di Pistoia

Bruno, Giorgio, Francesco, Marco, Niccolò, Manuel, Alessandro, Gianluca, Pietro, Tommaso, Enea più due Matteo e due Lorenzo: sono i ragazzi della seconda classe sezione MB dell’Istituto Tecnico Tecnologico Statale Silvano Fedi Enrico Fermi di Pistoia che sabato 7 Ottobre mi hanno rivolto domande (loro in classe, io davanti al mio MAC nello studio) dopo che la loro insegnante di Lettere, Nada Macerola, durante l’estate aveva fatto leggere alla classe il mio romanzo storico “L’indagine che cambiò la vita di Marco Claudio Acuto, cittadino dell’Impero Romano”. 

Sono stati novanta minuti intensi che mi hanno lasciato soddisfatto da diversi punti di vista. 

Come autore, credo che non ci sia cosa più bella che incontrare un gruppo di persone che, dopo aver letto il tuo libro, ti pongono domande, chiedono di dissipare dubbi e curiosità o conoscere i segreti della tua scrittura.

Se poi questo gruppo di persone è rappresentato da quindicenni, il cui (quasi unico) pensiero, dopo la scuola, è rivolto al calcio e al loro smartphone, beh, devo dire che vederli in classe attenti e in silenzio ad ascoltarmi, interessati alle mie risposte, mi ha molto colpito.

Come mi hanno stupito le loro domande, mai banali e anzi rivelatrici di un interesse vero e profondo al significato che ho voluto trasmettere, attraverso le parole, nel libro. Alcune le riporto qui di seguito.

  • Nel racconto si parla molto di Gesù. Lei crede che sia veramente esistito e tutto quello che ci è pervenuto sulla Sua storia sia vero?
  • Com’è nata la sua passione per la scrittura?
  • Scrivere un libro, significa entrare nel mondo della scrittura. Quali difficoltà ha incontrato nello scrivere questa storia?
  • Come e dove trova l’ispirazione per scrivere?

Quando ho deciso di scrivere la storia di Marco Claudio Acuto, se mi avessero chiesto per chi la stavo scrivendo, oltre che per me stesso, avrei risposto per ragazzi come questi.

L’incontro con quella classe ha confermato che la mia intuizione di scrivere una storia ambientata ai tempi di Gesù in Palestina, poteva essere l’occasione per approfondire alcune tematiche riguardanti il senso della vita, il significato del perché siamo al mondo e quale destino ci attende. Domande alle quali, tutti noi, siamo stati chiamati e lo siamo tuttora, a dare una risposta, specialmente dopo quanto sta accadendo proprio in queste ore, sotto i nostri occhi, in quel lembo di terra così piccolo ma così importante per la storia dell’umanità.

Un ringraziamento speciale va alla professoressa Nada Macerola che, oltre ad aver dato fiducia al mio romanzo, forse perché scrittrice lei stessa, ha pensato di coinvolgere la sua classe, proponendone la lettura estiva e la ripresa e discussione al rientro a scuola a settembre. L’incontro con l’autore un sabato mattina di ottobre ha chiuso il cerchio.

Nell’interazione con questi giovani lettori, ho meglio compreso la verità delle parole di Gabriel García Márquez: “Quello che conta in un libro sono le cose che si leggono tra le righe.” Ogni domanda, ogni riflessione da parte degli studenti, mi ha rivelato le profondità nascoste nel mio testo, dimostrando che la vera magia di una storia risiede non solo in ciò che è scritto, ma anche in ciò che risuona nell’anima del lettore.

E ricevere questo riscontro, per uno scrittore, è forse la soddisfazione più bella.

Categorie
News

Il Meeting di Rimini: non solo un evento, ma un’esperienza di vita

A prima vista, il Meeting di Rimini potrebbe sembrare soltanto un altro appuntamento nel fitto calendario di manifestazioni che accompagnano l’estate degli italiani, ma osservando attentamente, si capisce che è un microcosmo di universi in divenire, dove quattro pilastri sostengono una struttura imponente, fatta di umanità e di cultura, di desiderio e di amicizia.

Il primo pilastro è forgiato dall’entusiasmo e dal sacrificio dei volontari. Oltre 3.000 quest’anno, più della metà al di sotto dei trent’anni: senza di loro, il Meeting sarebbe come un libro senza parole, una tela senza colore, semplicemente non esisterebbe.

Il secondo pilastro è l’attrattiva generata dell’evento. Da oltre quarant’anni, il Meeting è un luogo, forse unico al mondo, dove si possono incontrare e ascoltare personalità del pensiero, della politica, delle religioni, della scienza e dell’arte. Un piccolo Pantheon vivente in riva all’Adriatico. 

Ricordo solo alcuni dei personaggi che ho avuto l’onore e il piacere di incontrare al Meeting: Izzeldin Abuelaish presente all’edizione del  2012. Conosciuto come “the Gaza Doctor” è un medico palestinese che ha dedicato la sua vita alla pace nel conflitto tra Israele e Palestina. Nato e cresciuto nel campo profughi di Jabalia nella Striscia di Gaza, il dott. Abuelaish ha superato molte difficoltà personali, incluse la povertà e la violenza, fino a diventare uno dei più convinti, amati e importanti ricercatori, educatori e relatori pubblici sulla pace e lo sviluppo nel Medio Oriente. La sua dottrina personale è che l’odio non è una risposta alla guerra. Piuttosto, aperte le comunicazioni, comprensione e compassione sono gli strumenti per costruire un ponte tra gli interessi Israeliani e Palestinesi. Bill Congdon, straordinario pittore statunitense, intervenuto al Meeting nel 1992.  Lo scienziato del linguaggio Noam Chomsky  ospite nel 2015. Staffan de Mistura che ha partecipato a sette edizioni del Meeting. Il Vescovo Javier Rodriguez Echevarrìa al Meeting nel 2014. Sempre al Meeting ho conosciuto il filosofo Fabrice Hadjadj che vanta sette presenze e che incanta con le sue riflessioni la platea che ha di fronte. E come non ricordare il grandissimo educatore Franco Nembrini presente a quindici edizioni del Meeting, l’astronauta Paolo Nespoli intervenuto a due Meeting, il fotografo Chris Niedenthal che nel 2010 ci ha mostrato le foto scattate a Danzica nel 1980. Indelebili i ricordi sia della testimonianza di suor Rosemary Nyirumbe nel 2017 sia le cinque partecipazioni di Mons. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme. Lo scrittore Chaim Potok partecipò all’edizione del 1999 intervistato da Luca Doninelli mentre Eric – Emmanuel SchMitt a quella del 2022. Termino questo brevissimo elenco di personaggi che mi sono rimasti impressi, tra le migliaia di ospiti che ha avuto sin qui il Meeting, ricordando due persone eccezionali: il giornalista irlandese John Waters e la scrittrice argentina Veronica Cantero Burroni la cui commovente testimonianza rimarrà per sempre impressa nella mia mente.

Il terzo pilastro, la libertà, è intimamente legato al secondo, l’attrattiva. È proprio questa libertà che dona vitalità e universalità al Meeting, trasformandolo in un palcoscenico aperto dove idee di ogni sorta possono incontrarsi, dialogare e farsi conoscere al vasto pubblico. Al Meeting, l’aria è impregnata di una sorta di libertà raramente avvertibile nei luoghi della nostra vita di tutti i giorni.

In conclusione, il quarto pilastro agisce come sintesi dei primi tre, e trova la sua essenza nella gratuità. Quest’ultima incarna il valore più autentico dell’intera manifestazione: l’arte di donare senza attendersi nulla in ritorno. Gli organizzatori del Meeting, i volontari, i partecipanti tutti frequentano il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli mossi dal desiderio di compimento della propria vita che, durante la preparazione del Meeting e durante il suo svolgimento, vedono realizzarsi.

In un contesto culturale profondamente mutato dal suo inizio, il Meeting di Rimini non ha perso il suo richiamo universale. Ogni anno, attira una folla eterogenea composta da giovani, famiglie, donne e uomini che decidono di trascorrere parte delle loro ferie o del loro tempo libero in questo contesto vivace. Tra mostre d’arte, dibattiti intellettuali, banchetti gastronomici, angoli dedicati ai libri e agli autori, e spazi in cui i più giovani possono sfidarsi in giochi di calcio e basket, il Meeting offre una varietà d’esperienze. Nel Villaggio Ragazzi, infine, i più piccoli scoprono il piacere dell’apprendimento creativo, dall’arte alla scrittura, in compagnia di adulti appassionati.

Mi rendo conto quanto possa essere complesso descrivere l’essenza del Meeting a chi non ha mai avuto l’opportunità di parteciparvi, neppure per qualche ora. Tuttavia, permettetemi di offrirvi un breve riassunto delle esperienze che mi hanno particolarmente impressionato nell’ultima edizione. Una conferenza entusiasmante intitolata “Il potere degli algoritmi – L’uomo e la sfida dell’intelligenza artificiale” ha visto come protagonisti Paolo Benanti e Nello Cristianini. Contrariamente all’apparenza, l’argomento della seconda conferenza che desidero menzionare, “L’appiattimento del mondo e la domanda di verità” con Adrien Candiard e Olivier Roy, era collegato in modo sottile alla prima. La terza discussione interessante ha avuto luogo tra Giuseppe Pezzini e Don Paolo Prosperi, che hanno esplorato “La missione di Frodo: individuo e compagnia nel Signore degli Anelli“, a cinquant’anni dalla scomparsa di Tolkien. Inoltre, non posso omettere l’emozionante momento durante l’incontro “Aldo Moro, I giovani e noi: un’amicizia viva“, con partecipanti come Saverio Allevato, Agostino Giovagnoli, Angelo Picariello, Salvatore Taormina e Agnese Moro. La figlia del defunto statista ha toccato il cuore dell’auditorio con le sue memorie sull’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza vissute con suo padre, ucciso quando lei aveva solo venticinque anni.

Oltre ai dibattiti, ho avuto modo di visitare diverse mostre interessanti. Tra queste, vorrei sottolineare “Azer, l’Impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria” e “Il Medico del Popolo. Vita e opera di José Gregorio Hernandez“. La prima offre una visione di speranza per la tormentata regione del Medio Oriente, mentre la seconda mi ha fatto scoprire la vita di un medico ora beatificato, che mi era completamente sconosciuto. Le mostre curate dal Meeting hanno quasi sempre questa caratteristica: suscitare curiosità, stimolare l’immaginazione, aprire il cuore verso nuovi orizzonti, rinsaldare la fiducia nell’opera di un Altro che ti sostiene e ti accompagna nelle fatiche quotidiane.

Per chi non ha mai frequentato il Meeting, parlarne è quasi come descrivere un colore a un non vedente. Questo evento è un’esperienza più che un semplice luogo di incontro. È una celebrazione dell’umano, un viaggio attraverso quel desiderio inesauribile di bellezza, serenità e pace che, credo, alberghi in ognuno di noi. E a volte, tutto ciò che ci serve è una giornata a Rimini per capirlo.

Così, quando il sipario si chiude e la luce si attenua, il Meeting di Rimini non finisce, ma continua a vivere nei cuori di coloro che l’hanno vissuto, come un’eco lunga e profonda. E se non ci siete mai stati, magari l’anno prossimo potrebbe essere la vostra occasione.

La 45° edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli si terrà dal 20 al 25 agosto 2024 nella Fiera di Rimini con il titolo, tratto dal romanzo “Il passeggero” del romanziere statunitense Cormac McCarthy, recentemente scomparso: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”

Una domanda per tutti.

Categorie
Lo scrittore artigiano

SALTO 2023

Si è conclusa da pochi giorni la 35° edizione del Salone del Libro di Torino, e per la prima volta ho avuto l’onore di essere ospitato come autore nell’Area Self del Salone, dove circa 170 scrittori hanno potuto presentare ai lettori le proprie opere.

Personalmente ho partecipato all’iniziativa con il mio ultimo romanzo: “L’ indagine che cambiò la vita di Marco Claudio Acuto, cittadino dell’Impero Romano” e sono stato molto soddisfatto dell’esperienza fatta.

Ho vissuto giornate molto intense, ricche di scambi di opinioni con i colleghi presenti allo stand e di chiacchierate con i lettori, alcuni dei quali hanno anche acquistato il libro. Ma al di là del buon risultato (ho venduto il 44% delle copie portate a Torino) quello che ho apprezzato maggiormente è stata la possibilità di incontrare i lettori e confrontarmi con loro, esperienze che solo partecipando ad una manifestazione come quella di Torino si possono fare.

Oltre alla presenza presso lo stand ho avuto modo di seguire alcuni degli incontri proposti nelle cinque giornate della manifestazione. Uno di questi, organizzato dall’AIE ha reso pubblici i dati sullo stato dell’editoria nel 2022. L’editoria europea vale 35 miliardi di euro: il 59% del mercato globale. Sei dei dieci principali gruppi editoriali mondiali sono europei.

L’editoria italiana è la sesta al mondo e la quarta in Europa e vale 3,4 miliardi di euro contro i 3,2 miliardi del Regno Unito e i 3,1 miliardi della Francia.

Il settore del libro è la prima industria culturale italiana. A seguire gli abbonamenti alle Pay TV, il settore dei Videogiochi e quindi la TV in chiaro (canone). Sul fondo della classifica la spesa per teatro e concerti e la partecipazione a mostre ed esposizioni.

Per quanto riguarda il focus sul mercato del libro di “varia” in Italia nel 2022 si è registrato un calo rispetto al 2021, ma rispetto al 2019 il mercato è ancora in crescita. In Italia, nel 2022 il totale del fatturato della “varia” dei libri a stampa è stato di 1,67 miliardi di euro cui si deve aggiungere il valore degli ebook (79 milioni di euro) e il mercato degli audiolibri (25 milioni di euro). Il prezzo di copertina del venduto è identico a quello del 2021, ma in lieve calo rispetto al 2019. Quello medio è pari a 14,84 euro.

Il numero dei libri pubblicati, pur inferiore a quello dello scorso anno, supera quello del 2019. Nel 2022 le novità pubblicate sono state 76.575 cioè 209,8 libri nuovi ogni giorno dell’anno. Non male… Diminuisce, invece, il numero dei nuovi e-book pubblicati che nel 2022 sono stati 35.200, meno della metà dei libri cartacei.

Per quanto riguarda i canali, le vendite di libri nelle librerie fisiche sono passate dal 64% del totale del 2019 al 53% del 2022 mentre le librerie online sono cresciute dal 29,6% del 2019 al 42,2% del 2022. Ha perso punti la GDO che passa dal 6,4 al 4,6% del totale. Per quanto riguarda i generi, nel 2022 sono cresciuti i fumetti (+8,6%) e la narrativa (+7% la straniera, + 4,9% l’italiana). In calo libri per bambini e la saggistica. Un’ultima considerazione per quanto riguarda i generi: più “catalogo” e meno “bestseller”. I Top 100 del 2022 pesano meno del 10% delle vendite il che significa che c’è voglia di ritornare a leggere i classici rispetto alle novità. E questo è un segnale che andrebbe colto soprattutto dai giovani editori che dovrebbero riflettere sul dato. E qui mi aggancio all’ultimo tema che volevo trattare in questo post.

Gironzolando per gli stand del Salone mi sono imbattuto nello spazio dedicato alle case editrici di recente costituzione.

Ho scambiato quattro chiacchiere con alcuni degli esponenti presenti negli stand e devo dire che sono stato colpito dalla passione, dalla determinazione, dal coraggio con cui questi giovani editori si sono messi in gioco rischiando oggi il proprio futuro professionale nella creazione di un’impresa editoriale. A loro va tutto il mio plauso e il sostegno che nel mio piccolo posso dare a queste lodevoli iniziative imprenditoriali è ricordarle in questo articolo, descrivendone brevemente il profilo che le caratterizza.

L’area nuovi editori.

Edizioni Scripta Volant (Como): giovane casa editrice indipendente, nasce in piena pandemia su un ramo del lago di Como, dopo essersi vaccinata. Presta particolare attenzione all’umorismo, sia teorico che pratico, ai linguaggi, alla sperimentazione e alle nuove forme di comunicazione (esclusi tatuaggi e segnali stradali).

Linea Edizioni (Padova): Linea edizioni è una casa editrice indipendente che nasce nel 2015 con lo scopo di promuovere e valorizzare le pubblicazioni, per ragazzi e adulti, in lingua italiana e straniera, che possano stimolare la riflessione e il confronto.

Isenzatregua (Riva Del Garda): Isenzatregua edizioni è una piccola casa editrice indipendente nata per dare risalto a tutti i giovani talenti che difficilmente troverebbero spazio nell’agenda della maggior parte degli editori tradizionali, crede nella forza innovativa di giovani autori locali e nazionali propone nuove idee per nuovi lettori e, soprattutto, vuole lanciare un messaggio positivo alle nuove generazioni.

Another coffee Stories (Milano): una nuova idea di lettura sinestetica. La Casa Editrice Another Coffee Stories nasce il 4 Dicembre 2020, come laboratorio di idee per un’editoria nuova e per dare voce a proposte innovative e stimolanti. Un progetto rivoluzionario che, dal concetto di sinestesia (dal greco Syn, “insieme”, e Aisthànestai, “percepire”, che nel complesso significa “percepire, sentire insieme”), si pone come obiettivo il coinvolgimento del lettore facendogli assaporare ciò che sta leggendo. Infatti, la parola sinestesia serve proprio a indicare un’esperienza di percezione simultanea. Ad ogni libro è abbinata una tipologia di caffè di una torrefazione storica milanese per gustarsi al meglio la lettura.

Le plurali editrice (Morlupo – Roma): Le plurali è una casa editrice femminista, indipendente, inclusiva, curiosa. Le plurali pubblica libri di saggistica e narrativa, esclusivamente d’autrici. Ha occhio per manoscritti inediti, traduce e rimette in circolo libri che non puoi trovare in Italia, ti offre guide per orientarti tra le galassie femministe. Il simbolo che adotta è la macchia: uniche e originali, a volte le macchie nascono per caso per poi fare rete con altre macchie e diventare segni, sillabe, parole e storie di cui non puoi fare a meno.

Diadema Edizioni (Gualdo Tadino): nasce nella primavera del 2021 dopo molti mesi di preparazione, dovuti anche al rallentamento di tutte le attività a causa della pandemia e scaturisce dalla lunga e consolidata esperienza di due persone in particolare, nel settore della vendita dei libri, della loro promozione al pubblico, così come nella scrittura e pubblicazione degli stessi. Diadema Edizioni si prefigge lo scopo di andare incontro ad una richiesta di editing letterario e ricerca di una pubblicazione editoriale che in questi ultimi anni è notevolmente cresciuta nel contesto di un territorio come il nostro, molto lontano da tutti i principali centri di attività in tale campo.

Van Editrice (Trieste) : fondata da nove donne e un uomo a luglio 2021, la casa editrice VITA ACTIVA NUOVA (VAN) si ispira alle parole di Hannah Arendt sulle potenzialità dell’essere umano da cui «ci si può attendere l’inatteso», infatti «è in grado di compiere ciò che è altamente improbabile». L’intento editoriale è consapevolmente di nicchia, da non intendere come spazio marginale o di isolamento locale, ma come collocazione che parte da un preciso luogo territoriale, Trieste, città letteraria e multiculturale, e si allarga al piano nazionale e internazionale. Una operazione culturale con finalità di orientamento e diffusione di una cultura critica, aperta, libera, inclusiva e socialmente utile in quanto fondativa di valori comuni, ovvero ‘messi in comune’.

Cencellada edizioni: (Roma): La cencellada è il fenomeno meteorologico che si produce quando la temperatura sotto zero si mescola con le minuscole goccioline fluttuanti della nebbia, facendole cristallizzare sulle superfici solide. L’ampia varietà di oggetti ricoperti da aghi di ghiaccio bianco crea scenari così magici, da sembrare appena usciti da una cartolina. Cencellada è nata per pubblicare le opere imprescindibili dei grandi autori di sempre, ma anche per dare voce a classici che non lo sono ancora ma, con il tempo, occuperanno un posto di rilievo negli scaffali delle biblioteche.

Dragonfly Edizioni: nata nel 2020, la Dragonfly Edizioni si è ritrovata a fare i primi passi durante la pandemia. Con un team giovane e dinamico, tenta di farsi spazio nel mondo editoriale .Offre ai suoi autori una guida che dia loro gli strumenti e le opportunità per farsi notare. La Casa Editrice è nata con il presupposto che tutti gli autori sono importanti allo stesso modo e non degli oggetti da utilizzare e su cui speculare senza ritegno. Lo scopo di questa è quella di far si che i loro autori crescano soprattutto in visibilità, di conseguenza, il lavoro di promozione continua e spazia tra varie collaborazione, tra cui blogger, tiktoker, radio fisiche e web, associazioni culturali. L’unica realtà editoriale onnipresente per i propri autori: una Famiglia nella famiglia.

Oso Melero Edizioni: (Padova): Oso Melero Edizioni è una casa editrice indipendente creata nel 2020 tra le speranze e le utopie di alcuni amici migranti venezuelani che hanno osato rendere possibile un sogno editoriale. È stata concepita con lo scopo che le opere letterarie latinoamericane e caraibiche raggiungano bambine, bambini e adolescenti sia in italiano che in spagnolo. L’ oso melero (Tamandua tetradactyla) è un animale dolce e coraggioso, un camminatore ambulante che si nutre di formiche e miele, da cui l’aggettivo “melero” o “mielero”. Vive nelle giungle e nelle foreste del Sud America, quel verde immenso lo accompagna e le sussurra le storie che porta da raccontare. Il suo nome evoca una danza tradizionale indigena che veniva ballata durante l’infanzia, con la quale venivano adorati gli antenati. L’ oso melero invita a cercare l’incanto, a scoprire suoni, profumi, parole e immagini che, una volta entrati nel cuore, saranno compagnia per tutta la vita. I libri “meleri” sono un oggetto ludico, un giocattolo, uno strumento per sognare e manifestare, che contribuisce allo sviluppo della consapevolezza del mondo circostante. Per questo gli autori e le autrici si fanno portavoci di una molteplicità di realtà, di un’infinità di mondi possibili che compongono questo gioco dove bambine e bambini sono ospiti d’onore.

De Nigris Editori: (Napoli): De Nigris Editore nasce nel 2021, insieme all’idea di Infuga Edizioni. La prima “prova” è una startup che smuovesse un po’ le acque dell’editoria italiana, stagnante in un circolo vizioso fatto di prodotti qualitativamente infimi ed ego giganteschi, unico vero obiettivo di tanti “autori”. Il focus è stato subito quello dell’“editoria democratica”, guadagnando ben presto l’attenzione di molti, specialmente di coloro che cercavano un’alternativa seria a EAP ed editoria “classica”. L’obiettivo preposto era quello di insegnare all’autore ad essere un personaggio e trattare la sua opera con cura, anche durante e dopo la sua uscita digitale o in libreria.

Concludo questo lungo post ringraziando il direttore del Salone uscente Nicola Lagioia per l’impegno profuso in questi ultimi sette anni e augurando alla nuova direttrice Annalena Benini di continuare a credere nel potere salvifico del libro e di contribuire a far crescere nei giovani l’interesse e la curiosità per la lettura.

Perché, come recita un proverbio arabo: “Un libro è come un giardino che si può portare in tasca” cioè una cosa bella che rimane sempre con te e ti fa compagnia. 

Categorie
News

La Governance dell’Intelligenza Superiore

Chi mi conosce sa che da alcuni mesi mi sono appassionato al tema dell’intelligenza artificiale. È un argomento di grande attualità e oggi voglio affrontare anch’io la questione partendo da un articolo scritto dai fondatori di Open AI Sam Altman, Greg Brockman e Ilya Sutskever pubblicato il 22 maggio 2023 sul sito della società.

Cliccando questo link potete leggere l’articolo pubblicato in lingua inglese, mentre se proseguite la lettura del post troverete la traduzione in italiano. Al termine dell’articolo le mie riflessioni in merito.

Governance dell’intelligenza superiore

“È ora il momento opportuno per cominciare a pensare alla governance dell’intelligenza superiore, ossia dei futuri sistemi di intelligenza artificiale (IA) che saranno nettamente più capaci anche rispetto all’IA generale (AGI).

Sicurezza e allineamento.

Dall’attuale quadro che osserviamo, è concepibile che entro i prossimi dieci anni i sistemi di intelligenza artificiale supereranno il livello di competenza degli esperti in molti ambiti e svolgeranno un’attività produttiva paragonabile a quella delle più grandi aziende attuali.

In termini di vantaggi e svantaggi potenziali, l’intelligenza superiore sarà più potente rispetto ad altre tecnologie con cui l’umanità ha dovuto confrontarsi in passato. Possiamo avere un futuro decisamente più prospero, ma dobbiamo gestire il rischio per arrivarci. Dato il rischio esistenziale possibile, non possiamo limitarci a reagire. L’energia nucleare è un esempio storico comunemente usato di una tecnologia con questa proprietà; un altro esempio è la biologia sintetica.

Dobbiamo mitigare i rischi dell’attuale tecnologia dell’IA, ma l’intelligenza superiore richiederà un trattamento e una coordinazione speciali.

Un punto di partenza.

Ci sono molte idee che sono importanti affinché abbiamo una buona possibilità di navigare con successo in questa evoluzione; qui presentiamo le nostre prime riflessioni su tre di esse.

Innanzitutto, abbiamo bisogno di un certo grado di coordinazione tra gli sforzi di sviluppo più avanzati per garantire che lo sviluppo dell’intelligenza superiore avvenga in modo tale da garantire la sicurezza e agevolare l’integrazione di questi sistemi nella società. Ci sono molte modalità con cui ciò potrebbe essere implementato; i principali governi del mondo potrebbero creare un progetto a cui molti sforzi attuali si uniscano, oppure potremmo concordare collettivamente (con il supporto di un’organizzazione nuova come quella suggerita di seguito) che il tasso di crescita delle capacità dell’IA al confine sia limitato a un certo tasso annuo.

E, naturalmente, le singole aziende dovrebbero essere tenute a un livello estremamente elevato di responsabilità.

In secondo luogo, probabilmente alla fine avremo bisogno di qualcosa simile all’IAEA per gli sforzi relativi all’intelligenza superiore; ogni sforzo che superi una certa soglia di capacità (o risorse come la potenza di calcolo) dovrà essere sottoposto all’autorità di un organismo internazionale in grado di ispezionare i sistemi, richiedere audit, verificare la conformità agli standard di sicurezza, imporre restrizioni sui gradi di implementazione e i livelli di sicurezza, ecc.

Il monitoraggio dell’utilizzo della potenza di calcolo e dell’energia potrebbe essere un valido strumento e darci la speranza che questa idea possa effettivamente essere attuabile. Come primo passo, le aziende potrebbero accordarsi volontariamente per iniziare a implementare elementi di ciò che potrebbe un giorno essere richiesto da un tale organismo, e come secondo passo, singoli paesi potrebbero attuarlo. Sarebbe importante che un tale organismo si concentri sulla riduzione del rischio esistenziale e non su questioni che dovrebbero essere lasciate ai singoli paesi, come ad esempio definire ciò che un’intelligenza artificiale dovrebbe essere autorizzata a dire.

In terzo luogo, abbiamo bisogno della capacità tecnica di rendere sicura un’intelligenza superiore. Questa è una questione di ricerca aperta su cui noi e altri stiamo dedicando molto impegno.

Ciò che non è incluso nel campo d’azione.

Riteniamo importante consentire alle aziende e ai progetti open source di sviluppare modelli al di sotto di una soglia significativa di capacità senza la regolamentazione che descriviamo qui (inclusi meccanismi onerosi come licenze o audit).

I sistemi attuali creeranno un valore enorme nel mondo e, sebbene comportino dei rischi, il livello di tali rischi sembra proporzionato ad altre tecnologie Internet e le possibili approcci della società sembrano appropriati.

Al contrario, i sistemi di cui ci preoccupiamo avranno un potere oltre ogni altra tecnologia finora creata, e dovremmo fare attenzione a non diluire la loro importanza applicando gli stessi standard a tecnologie molto al di sotto di questa soglia.

Coinvolgimento pubblico e potenziale.

Tuttavia, la governance dei sistemi più potenti, così come le decisioni riguardanti la loro implementazione, devono essere sottoposte a un forte controllo pubblico. Crediamo che le persone di tutto il mondo dovrebbero decidere democraticamente i limiti e i parametri predefiniti per i sistemi di intelligenza artificiale. Non sappiamo ancora come progettare un meccanismo del genere, ma abbiamo intenzione di sperimentarne lo sviluppo. Continuiamo a pensare che, all’interno di questi ampi limiti, gli utenti individuali dovrebbero avere un grande controllo su come si comporta l’IA che utilizzano.

Date le sfide e le difficoltà, vale la pena considerare perché stiamo costruendo questa tecnologia in primo luogo.

Presso OpenAI, abbiamo due ragioni fondamentali. Primo, crediamo che porterà a un mondo molto migliore di quello che possiamo immaginare oggi (stiamo già vedendo esempi iniziali in settori come l’istruzione, il lavoro creativo e la produttività personale). Il mondo affronta molti problemi che avremo bisogno di aiuto maggiore per risolvere; questa tecnologia può migliorare le nostre società, e la capacità creativa di tutti nel utilizzare questi nuovi strumenti ci stupirà sicuramente. La crescita economica e l’aumento della qualità della vita saranno sorprendenti.

Secondo, riteniamo che sarebbe rischioso e difficile intuitivamente fermare la creazione di un’intelligenza superiore. Poiché i vantaggi sono così enormi, il costo per costruirla diminuisce ogni anno, il numero di attori che la costruiscono sta aumentando rapidamente ed è intrinsecamente parte del percorso tecnologico che stiamo seguendo, fermarla richiederebbe qualcosa come un regime di sorveglianza globale e persino questo non è garantito che funzioni. Quindi dobbiamo farlo nel modo giusto.”

Bene, se avete letto l’articolo in italiano, vi debbo subito dire che la traduzione è stata fatta da Chat GPT 3.5 in una manciata di secondi (con manciata intendo meno di 10 secondi).

Ho mantenuto volutamente la traduzione in italiano proposta da Chat GPT ben consapevole che in alcuni punti ci sono piccole sbavature, correggibili con un minimo sforzo, ma ho voluto lasciarle per farvi capire il livello già raggiunto da questo strumento. Sappiate che Chat GPT 4.0 sarà 20 volte superiore in termini di capacità generative per risolvere i quesiti che gli verranno proposti.

Che ve ne sembra?

Il mio pensiero attuale è che siamo di fronte ad una rivoluzione superiore a quelle che l’umanità ha vissuto in passato. Ci sono stati momenti nella storia in cui scoperte o invenzioni hanno fatto fare un balzo in avanti alle capacità tecniche dell’uomo che a loro volta hanno portato benefici in diversi ambiti: economico, sociale, sanitario, culturale. Penso all’invenzione dei caratteri di stampa, all’invenzione della pila, del motore a scoppio, della macchina fotografica, della dinamite, della bomba atomica, della plastica.

Tutte invenzioni che hanno cambiato e inciso profondamente sul nostro modo di vivere. Ma questa cosa qui, questa rivoluzione prodotta dall’intelligenza artificiale è diversa, perché va a toccare un elemento che è tipico dell’essere umano e lo contraddistingue in quanto essere vivente: l’intelligenza.

Ho chiesto a Chat GPT: Che definizione daresti all’intelligenza umana?

Questa è stata la risposta: “L’intelligenza umana può essere definita come la capacità di comprendere, apprendere, ragionare, adattarsi, risolvere problemi e applicare conoscenze in modo flessibile e creativo. È un insieme complesso di abilità cognitive, emotive e sociali che consente agli esseri umani di acquisire e utilizzare conoscenze, prendere decisioni, comunicare efficacemente, interagire con l’ambiente e perseguire obiettivi personali e collettivi. L’intelligenza umana si manifesta in una vasta gamma di attività, comprese le capacità linguistiche, il pensiero astratto, la memoria, la capacità di problem solving, l’apprendimento continuo, l’empatia e la consapevolezza di sé. È una caratteristica distintiva degli esseri umani che li differenzia da altre forme di intelligenza presenti nel regno animale.”

Quando dice “applicare conoscenze in modo flessibile e creativo” Chat GPT sta parlando di sé, perché queste cose già le può fare.

Allora, per terminare questa riflessione, la domanda provocatoria da porsi per me è questa: se l’essere creativo è proprio di un Essere Superiore, solo Dio è il Creativo per definizione e l’uomo lo è in quanto Sua immagine, che posto occuperanno le Intelligenze Artificiali di domani: il nostro o quello di un Essere Superiore?

Disegni creati da DallE2, Intelligenza Artificiale generatrice di immagini.
Categorie
Lo scrittore artigiano

Serve un blog personale a uno scrittore?

Da tempo partecipo a gruppi di scrittori emergenti su Facebook, nei quali, tra l’altro, si è soliti confrontarsi sull’utilità di un blog personale per chi si dedica alla scrittura. Ho deciso, dunque, di raccontare la mia esperienza con il mio sito web, lorenzorobertoquaglia.it, realizzato attraverso ARUBA e il software WordPress.

In questa breve riflessione, non mi soffermerò sull’aspetto tecnico del servizio o del programma, ma mi concentrerò sull’analisi del traffico di visitatori sul blog, per comprendere se il tempo e le risorse investite possano essere giustificate.

Negli ultimi dodici mesi ho notato con una certa soddisfazione che il numero di visitatori ha superato le mie aspettative iniziali, nonostante una presenza al momento assolutamente marginale nel panorama letterario italiano e la non regolare pubblicazione di articoli e post.

Ciò che mi ha colpito maggiormente, però, è stata la provenienza geografica dei visitatori: persone da diverse parti del mondo hanno avuto modo di leggere i miei scritti. Un risultato che mi ha gratificato e sorpreso al tempo stesso.

In sintesi quindi posso affermare che la gestione di un blog personale può rivelarsi un’esperienza interessante e produttiva, soprattutto per chi si avvicina al mondo della scrittura. Vi invito, pertanto, a visionare i grafici che ho preparato per un’analisi più dettagliata sull’argomento.

Questo grafico evidenzia il flusso totale di visitatori dal primo aprile 2022 al 31 marzo 2023.

Questo secondo grafico mostra il “traffico” generato dal blog prendendo in esame il numero di pagine viste dai visitatori del sito.

La cartina evidenzia i primi dieci Paesi di origine dei visitatori del mio blog. Considerate che l’elenco completo prevede altri 53 Paesi.

E per finire la situazione europea.

Categorie
Lo scrittore artigiano

Voci di dentro

Autore: E tu chi sei?

Pasubio: Oh, chi si rivede…

Autore: Chi sei?

Pasubio: Come, non riconosci la tua creatura?

Autore: Commissario Pasubio?

Pasubio: Per servirti! È tanto che non vieni a trovarmi…

Autore: Sono stato molto impegnato, lo sai.

Pasubio: Veramente no. Se non me lo dici, come faccio a saperlo?

Autore: Ma se sei una parte di me…

Pasubio: Non è vero: io non sono una parte di te, sono stato creato da te, ma ho una mia vita autonoma. Non dimenticarlo.

Autore: Non mi sembra che tu possa definirti un essere libero da vincoli, comunque lasciamo perdere, non è il caso di discutere di cose di scarsa importanza, con tutti i problemi che dobbiamo affrontare di questi tempi…

Pasubio: Su questo hai ragione.

Autore: Meno male che mi dai ragione… concessa poi da un personaggio che vive nelle pagine di un libro…

Pasubio: Come hai detto scusa?

Autore: Siamo diventati permalosi, commissario Pasubio? Solo perché l’anno scorso mi sono dedicato a scrivere il mio primo romanzo storico e ho trascurato la stesura del sesto romanzo della serie che ti vede protagonista?

Pasubio: Tu puoi fare quello che vuoi, tu sei l’autore. Solo che un vecchio cittadino romano, vissuto duemila anni orsono, non mi sembra un personaggio così interessante da creare.

Marco: Come dici scusa? Per prima cosa non sono vecchio, nel libro che mi vede protagonista ho compiuto appena vent’anni!

Pasubio: Sì, però alla fine del romanzo…

Autore: Marco Claudio Acuto, anche tu?! Da quando i personaggi si mettono a discutere davanti all’autore? Ma siete degli ingrati!

Pasubio: È stato lui a iniziare.

Autore: Basta Pasubio! Proprio tu che sei un commissario di Polizia e dovresti dare il buon esempio.

Marco: I personaggi contemporanei non sono più guidati da quegli ideali che muovevano noi romani, la Majestas, la Virtus, la Gravitas e l’Humanitas che ci hanno accompagnato nella conquista del mondo. E si vede!

Autore: Marco, per piacere, finiamola. A proposito, perché siete venuti a farmi visita? Non rispondete? Non dite niente?

Pasubio: Io volevo capire le tue intenzioni. 

Autore: Quali intenzioni?

Pasubio: Avrei ancora tante indagini da portare a termine e poi sai bene che ho delle situazioni sentimentali in sospeso, se così possiamo dire…

Autore: E quindi?

Pasubio: Mi farebbe piacere verificarle e, grazie a te, capire se esiste una risposta al mio desiderio di trovare un’anima gemella con cui condividere la vita.

Autore: Grazie a me? Come faccio a farti capire una cosa del genere? Tu esisti solo nei libri.

Pasubio: Questo lo so. Ma grazie a te. Quindi sei tu che devi rivelare il mio destino, scrivendolo.

Autore: Aspetta un attimo, io cosa…

Marco: Beh, in questo il Gallo-padano ha ragione!

Pasubio: Gallo-padano a chi?

Marco: Perché, non sei un Gallo-padano? Ragioni come un Gallo-pad…

Autore: Marco, per favore! Perché avrebbe ragione Pasubio, vuoi dirmelo?

Marco: Carissime! Tu sei il nostro creatore. Ne consegue che tu sappia cosa è bene per noi.

Autore: Ah, è così? E se vi dicessi che quando compongo le vostre storie, voi mi prendete la mano e mi fate scrivere cose che io, sino all’attimo prima di metterle nero su bianco, non avevo in mente, cosa mi rispondete?

Pasubio: Ti dico che sei assolutamente normale. In ogni romanzo che hai scritto per me, mi sono reso conto che mi facevi compiere determinate azioni che ti avevo suggerito io stesso, ma questo è quello che avviene ogni volta che l’autore scrive dedicandosi anima e corpo alla storia che vuole raccontare. Ma proprio questa dedizione, figlia della tua passione per la scrittura, non elimina la responsabilità che tu hai nei nostri confronti. 

Marco: Ai miei tempi questa si chiamava captatio benevolentiae, mentre adesso si dice…

Pasubio: Cosa vuoi dire?

Autore: Pasubio, silenzio! Marco, per cortesia, riprendi il filo del tuo ragionamento. 

Marco: Tu rimani il nostro creatore e tu conosci meglio di chiunque altro quale potrebbe essere il nostro destino. Noi personaggi immaginari non siamo come i figli tuoi, costretti a vivere immersi nella realtà, noi siamo come Pinocchio nelle mani di Geppetto, e come Geppetto anche tu dovresti conoscere il futuro che ci attende.

Autore: Adesso ti stai confondendo. Guarda che anche Geppetto è un personaggio immaginario.

Marco: Ma dov’è il confine tra realtà e immaginazione? Dimmelo tu, autore. Non è forse Geppetto che dà vita a Pinocchio nel libro?

Pasubio: Ma come pretendi che questo antico romano possa conoscere Pinocchio e Geppetto… era ancora di là dall’essere creato quando papà Collodi scriveva di loro. Però su quest’ultimo punto ha ragione, caro il mio creatore. Tu il nostro futuro lo dovresti sapere e, se non lo conosci, almeno lo potresti scoprire, scrivendolo.

Cinò: Ha ragione Pasubio!

Autore: Cinò! Anche tu ti ci metti? Ma cosa avete questa sera? Tutti contro di me?

Cinò: Ma io non sono contro di te! Un personaggio immaginario non potrà mai avercela con il proprio creatore, non siamo mica esseri umani!

Autore: E quindi, cosa vuoi?

Cinò: Intervenire nel dibattito, che mi sembra interessante.

Autore: E quindi, cosa vuoi? Ti rifaccio la domanda.

Cinò: Vedi, io credo che tu debba trattarci un po’ più da adulti. Considerarci alla pari di voi autori. Non è forse vero che quando hai scritto di me, di Agostino, della dottoressa Sogol, avevi in mente una parte del tuo vissuto che aveva bisogno di essere ancora scandagliato nel profondo e che grazie a noi lo hai potuto ripensare, descrivere e rileggere? Per questo dico che ci siamo meritati il tuo rispetto e credo che tu debba riconoscere che scrivere di noi è stata una liberazione, al termine del lavoro ti sei sentito più leggero, non è vero?

Autore: Adesso abbiamo anche un Cinò psicologo! Comunque, potrebbe essere che tu abbia un poco di ragione. Ma come fai a sapere queste cose? 

Cinò: Proprio perché mi hai creato tu e il rapporto tra di noi è molto stretto. Però, se non me li rivelavi tu, scrivendoli nel libro, i tuoi pensieri li potevo solo intuire. 

Autore: Scusate, ma mi sto perdendo…

Pasubio: Certo che anche questo Cinò è un bel tipo! Tra lui e il romano hai creato proprio dei bei personaggi!

Marco: Guarda che io…

Autore: Marco, Pasubio! Per cortesia smettiamola che qui incomincia veramente a girarmi la testa. E tu Cinò, sono d’accordo con quello che hai detto, però ricorda sempre che io sono io e tu sei un personaggio frutto della mia fantasia.

Cinò: Certo. Non ho mai pensato di essere il tuo avatar. 

Antonio G.: Permesso? Scusate se mi intrometto. So di essere un personaggio minore, ma non potrei dire una parola anch’io? Sapete, noi personaggi minori, magari descritti fugacemente dal nostro autore in poche pagine di un libro o protagonisti di un racconto breve, avremmo il desiderio di assurgere a personaggi principali di un nuovo romanzo o magari di una serie di racconti, ché anche noi abbiamo il desiderio di raccontare la nostra visione del mondo. 

Autore: Antonio G.?

Antonio G.: Meno male che mi hai riconosciuto! Temevo che non avendomi voluto dare un cognome ti fossi dimenticato di me.

Autore: Intanto come posso dimenticarmi di te? Lo sai che uno scrittore non dimentica nessuna delle sue creature. 

Antonio G.: Speriamo… Però una cosa voglio chiedertela: perché non mi hai dato un cognome insieme al nome?

Autore: Per prima cosa, rammenta che non sei ancora stato pubblicato. E comunque non è vero che non ti ho dato un cognome. Il cognome l’ho puntato dopo la prima lettera. Tu sei nato Antonio G. Non ti piace?

Antonio G.: Cosa significa: che non essendo ancora stato pubblicato non esisto nella realtà letteraria, ma solo nella tua immaginazione? A questo punto potrei sperare di ricevere anch’io un cognome vero? E comunque, se vuoi proprio saperlo, avrei preferito da subito un cognome per intero, come tutti i personaggi che si rispettano della storia della letteratura.

Autore: Non è vero. Non tutti i personaggi hanno un nome e un cognome. Per esempio, il protagonista del ‘Castello’ di Kafka si chiama K. e basta. A te invece un nome per esteso è stato dato! E poi ricordati che sei un personaggio minore!

Antonio G.: Non esistono personaggi minori. Questo ricordatelo tu!

Coro: Ha ragione, ha ragione, ha ragione! 

Autore: E no, adesso per piacere state tutti zitti. Basta! Non è possibile che ognuno di voi, solo perché l’ho descritto in qualche pagina di un romanzo o in qualche racconto se ne venga fuori con queste rimostranze. Non si è mai visto un comportamento di questo genere!

Pasubio: Ma, veramente, ti rendi conto che sei tu l’autore di queste rimostranze? Sei tu che stai scrivendo adesso questo pezzo, in questo momento…

Autore: Pasubio, cosa intendi?

Pasubio: Sei tu che hai iniziato a scrivere questa sera, di queste cose…

Autore: No, guarda che sei stato proprio tu a iniziare…

Pasubio: Scusa, torna all’inizio e rileggi la prima riga… 

Autore: Va bene l’ho riletta, mi ero messo al computer e volevo scrivere una cosa, poi però mi sei comparso davanti tu e con ciò, cosa significa?

Pasubio: Nulla, significa che tu sei il nostro creatore e noi personaggi dipendiamo da te. Però tu, come ogni autore che si rispetti, consapevolmente o inconsapevolmente, ci lasci liberi di muoverci nella pagina che stai scrivendo e di questo te ne siamo grati, noi e i lettori. Ma solo tu hai in mano il nostro destino. Continua a frequentarci e scoprirai che, in fondo, da questa parte della realtà, quella immaginaria, non si sta poi così male. C’è posto per tutti, personaggi principali e personaggi minori e c’è posto anche per te. Noi ti aspettiamo qui. Ogni volta che lo vorrai ci troverai pronti per offrirti il meglio di noi stessi. Non ti deluderemo mai.

Autore: Mi hai quasi commosso, caro commissario, ma… cos’è questo suono intermittente, che da un po’ mi martella il timpano?

Pasubio: La tua sveglia, caro il mio autore.

Marco: Cos’è una sveglia?

Autore e Pasubio: Uno strumento di tortura.