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Perché ogni anno torno al Meeting di Rimini

La prima volta che ho messo piede al Meeting di Rimini dev’essere stato nel 1985 o 1986. Avevo circa vent’anni, ed ero in cerca. In cerca di qualcosa che ancora non sapevo definire, ma che sentivo mancarmi: uno sguardo più ampio sul mondo, una compagnia sincera nel vivere le domande di sempre, un luogo dove la realtà non fosse un peso ma una promessa.

Ricordo l’atmosfera fin da subito: intensa, piena, diversa. Le giornate scorrevano tra incontri inaspettati, parole che ti rimanevano dentro, mostre che sembravano parlare direttamente alla tua vita. E soprattutto persone. Persone di ogni età, provenienza, lingua, cultura. Era come trovarsi, all’improvviso, nel cuore pulsante dell’umanità. Come se per qualche giorno, in quel pezzo di Fiera, il mondo intero si fosse dato appuntamento per cercare insieme ciò che conta davvero.

Da allora, ho sempre portato il Meeting dentro di me, anche nei periodi in cui non riuscivo ad andarci. Quando sono nati i miei figli, io e mia moglie Paola abbiamo fatto una pausa di dieci anni. Non ce la sentivamo di affrontare una settimana così “intensa” con bambini così piccoli. Ma la nostalgia era forte. Ogni estate, quando arrivavano le giornate di agosto, sentivo che mi mancava qualcosa.

Poi, appena possibile, ci siamo tornati. Tutti insieme. Ed è stato ancora più bello. Perché con la mia famiglia accanto, quelle giornate sono diventate occasione di crescita condivisa, di sguardi che si incrociano davanti a una mostra, di domande che si riaccendono ascoltando una testimonianza. E da allora, non ho più smesso.

Ogni anno, quando organizzo le ferie, c’è una settimana che non si tocca: quella del Meeting. Lo considero un appuntamento con la mia umanità. Un tempo privilegiato in cui rimettere a fuoco le cose essenziali, lasciarmi provocare, respirare un’aria diversa. Non importa quanto sia stanco, confuso o distratto: torno sempre da lì con il cuore più leggero e il passo più deciso.

Ogni volta che varco l’ingresso della Fiera, provo lo stesso stupore di quella prima volta. E ogni volta torno a casa con qualcosa di nuovo. Un volto, un’idea, un dolore condiviso, una speranza rilanciata. È come se ogni anno il Meeting mi aiutasse a cominciare di nuovo, a vivere con più consapevolezza i dodici mesi successivi.

Per questo comincio oggi una piccola serie di post. Non per spiegare cos’è “il Meeting” in generale, ma per raccontare cosa significa per me.

Il titolo del Meeting 2025 è:
“Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”

Un verso di T.S. Eliot che ci invita a non arrenderci di fronte al vuoto e alla fatica del presente. È un invito a scoprire che proprio nei momenti più aridi della storia può nascere qualcosa di nuovo: relazioni vere, cura del bene comune, lavoro creativo, iniziative che danno speranza.

Costruire non con illusioni di potere o strategie fredde, ma con gratitudine e libertà, valorizzando tutto ciò che abbiamo ricevuto. È così che si colmano i deserti: non da soli, ma insieme, riscoprendo il desiderio di condividere il cammino verso ciò che è vero, buono e giusto.

Il Meeting offre ogni anno questa possibilità. Ed io non riesco a farne a meno.

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