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Se non credi in Dio, in chi credi?

La persistenza della memoria di Salvador Dalì – 1931

1. Introduzione: La domanda che divide e unisce

“Se Dio non esiste, tutto è permesso”: questo il pensiero di Dostoevskij raccontato ne I fratelli Karamazov. Un concetto che colpisce come una lama, perché non parla solo di fede ma di senso. Oggi, in un tempo in cui tanti si dichiarano atei, agnostici o “spirituali ma non religiosi”, la domanda resta: quando Dio non è più il centro, chi o cosa prende il suo posto? Non è un’accusa, ma un invito: guardarsi dentro e chiedersi in cosa, davvero, riponiamo la nostra fiducia.


L’isola dei morti di Arnold Böcklin – 1880

2. Il bisogno umano di credere

Immagina un bambino che ascolta una fiaba alla sera. Non è solo intrattenimento: quella storia lo aiuta a dare forma alle sue paure, a sognare, a capire chi è. Da adulti non smettiamo di avere bisogno di storie. Cambiano i nomi, cambiano i simboli, ma il cuore resta lo stesso: l’uomo è, come diceva Cassireranimal symbolicum. Vive di miti, ideali, narrazioni.

Freud vedeva nei miti la proiezione dei conflitti inconsci, Jung li leggeva come archetipi che emergono dall’inconscio collettivo. Massimo Diana ricorda che i racconti arcaici – fiabe, saghe, leggende – non sono favole innocue, ma strumenti che plasmano la nostra crescita interiore. Per questo, anche in una società secolarizzata, i miti non scompaiono: si trasformano.


3. Quando Dio non è il riferimento

Già gli antichi ci hanno provato: Epicuro insegnava che gli dèi non si curano di noi, Teodoro di Cirene arrivò a negarne l’esistenza. Nell’Illuminismo la ragione prese il posto della rivelazione: Voltaire sosteneva che “se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo”, più per ordine sociale che per fede.

Nel Novecento, Sartre e Camus hanno aperto la strada di un’esistenza senza Dio: se non c’è un progetto prestabilito, siamo noi a dover inventare il senso della vita. L’ateismo moderno non è assenza di valori, ma fondazione autonoma. È l’uomo che diventa, nel bene e nel male, creatore di sé stesso.


L’urlo di Edvard Munch – 1893

4. Nuovi “dei” e nuove credenze

Quando un altare cade, se ne costruisce un altro. Oggi molti affidano la loro fede a:

  • La scienza, vista come bussola assoluta. Ma se diventa dogma, smette di essere ricerca e diventa religione mascherata.
  • La politica, che spesso assume tratti da fede secolare, con i suoi leader venerati e i suoi nemici assoluti.
  • La tecnologia, nuovo mito salvifico: promette immortalità, progresso infinito, controllo totale.
  • L’umanesimo laico, che mette al centro l’uomo e la sua autorealizzazione.

Queste nuove credenze, in fondo, funzionano come i miti di un tempo: raccontano da dove veniamo, dove andiamo, chi siamo. Sono storie collettive che alimentano speranza e danno identità.


5. Credere in se stessi (e oltre)

“Abbi fiducia in te stesso”, scriveva Emerson, invitando a seguire la propria voce interiore. La psicologia moderna lo conferma: credere nella propria capacità aumenta le probabilità di riuscire. Ma c’è un rischio: se tutto dipende da noi, il fallimento diventa una colpa insopportabile, e l’egocentrismo una gabbia.

È qui che interviene la voce di Luigi Giussani. Nel suo Il senso religioso, ricordava che l’uomo è segnato da una sete che nessun successo personale colma. Il cuore umano è strutturalmente aperto al Mistero. La sete di giustizia, amore e felicità è infinita: e proprio questa sproporzione costituisce il “senso religioso”. Credere, per Giussani, non è chiudersi in sé stessi, ma aprirsi a quell’oltre che abita dentro di noi.


Sopra la città di Marc Chagall – 1918

6. E noi su cosa facciamo affidamento?

Forse la domanda iniziale non vuole una risposta definitiva, ma un cammino. C’è chi si affida alla scienza, chi alla politica, chi a se stesso, chi a un’energia cosmica senza nome. Ma dietro tutto questo resta intatto il bisogno di senso. È il filo che lega i miti antichi e le credenze moderne, Freud e Jung, Emerson e Giussani.

Allora “Se non credi in Dio, in chi credi?” diventa un invito a non accontentarsi. A non fermarsi alle risposte immediate, ma ad ascoltare quel desiderio più grande che pulsa dentro ognuno di noi.


7. Conclusione: Un invito a un’esperienza viva del senso religioso

Abbiamo visto come l’uomo non smetta mai di credere: che sia Dio, la scienza, la politica o se stesso, sempre cerca un orizzonte simbolico. Questo desiderio, che Giussani chiamava “senso religioso”, non è un’aggiunta, ma una struttura originaria dell’umano.

Se questo articolo ti ha coinvolto, provato, interrogato, forse vale la pena farsi una domanda in più: cosa significa vivere tutto questo in prima persona, non solo come spettatori del proprio cuore, ma come membri di una comunità in cammino?

Tra pochi giorni — dal 22 al 27 agosto 2025 — a Rimini si terrà il Meeting per l’amicizia fra i popoli: un festival che da oltre quarant’anni apre alla cultura, al dialogo, all’incontro tra persone di fedi, idee e orizzonti diversi. 
Il titolo di quest’anno è eloquente: “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi” — parole che risuonano come un invito vivente alla responsabilità, al senso, alla ricostruzione di ciò che è umano.

Questo evento è fatto di incontri, mostre, tavole rotonde, di testimonianze, arte e comunità. È il luogo dove il desiderio di bellezza, di verità, di giustizia — quel “senso religioso” che non si sopprime — viene messo in gioco con semplicità e concretezza.

Perché il punto non è avere già la risposta, ma avere il coraggio di cercarla.

Ti lascio con una sfida: non restare spettatore. Vieni, guarda, ascolta. Vivi un pezzo di estate che parla di senso. Perché a volte basta un incontro inaspettato per accendere una luce: è proprio lì che comincia qualcosa di nuovo.

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